giovedì 26 febbraio 2009

Un posto pulito e illuminato bene


Un posto pulito e illuminato bene. Non desidero altro.

Rimanere da sola in mezzo alla gente. E pensare che potrei togliere alla folla ancora un pezzo di me. Ai discorsi le chiacchiere, a beneficio dei silenzi, delle pause e dei respiri.

A scuola ti abituano a pensare che raccontare sia soprattutto autocelebrarsi. Forse non in tutte le scuole, ma nel mio caso è andata così. Dire alla gente ‘chi siamo’ e convincerli che siamo interessanti. Con la sovrabbondanza di aggettivi, gli avverbi in -mente e l’abusato costume dell’espressione per metafore. A dispetto di quello che abbiamo da dire.

Nei temi in classe ci vendevamo all’insegnante fino all’ultima riga: “Concludendo ritengo fondamentalmente e verosimilmente… Sono quindi convinta che sia utile, necessario e importante…Quello che ho imparato da questa esperienza e che qui riassumerei con la metafora del baco da seta…”. Ma non è vero. Non c’è sempre una conclusione, una morale. Non c’è sempre una metafora del baco costruita ad hoc per uscirne come le farfalle, con un leggero sbattere d’ali (aridaje ste figure retoriche!). Educati ad avere un’opinione su tutto, spesso parliamo di problemi e non di persone, di astrazioni e non di situazioni concrete. Ma non si possono suscitare pensieri con i pensieri, emozioni con le emozioni.

Per me raccontare è togliere più che aggiungere. Osservare e ascoltare, senza buttare via niente. Mai credere che un dente scheggiato non possa mordere il nostro interesse, che in un piccolo caffè non si giochi una partita importante. Poi prendere il blocco, il ceppo grezzo di realtà che ci è caduto tra capo e collo… e lavorarlo. Schizzare via la confusione a colpi di cesello e fare una scelta: la parola adatta, al momento adatto, nel modo adatto. Forse raccontare, in questa accezione, può anche insegnarci qualcosa. Che la nostra voce e i nostri occhi non servono a niente se non li mettiamo a servizio. Che scrivere, fotografare, filmare sono mestieri che implicano cura. La stessa che trovo in un luogo tranquillo e illuminato bene.

P.S. Aggiungo di seguito il racconto di Hemingway, perché solo dopo averlo letto ci si convince dell’esigenza di questo posto. Trattasi non di desiderio indotto, ma di coscienza sopita… e del racconto mi piacerebbe discutere.


Era tardi e tutti avevano lasciato il caffè tranne un vecchio seduto all'ombra che le foglie dell'albero formavano contro la luce elettrica. Di giorno la strada era polverosa, ma di notte la rugiada fissava la polvere e al vecchio piaceva stare seduto fino a tardi perché era sordo e di notte c'era un gran silenzio e lui avvertiva la differenza. I due camerieri dentro il caffè sapevano che il vecchio era un po' sbronzo, e pur essendo un buon cliente sapevano che se si fosse sbronzato un po' troppo se ne sarebbe andato senza pagare, perciò lo tenevano d'occhio.
"La settimana scorsa ha tentato di suicidarsi" disse un cameriere.
"Perché?"
"Era disperato."
"Per cosa?"
"Niente."
"Come sai che non era niente?"
"Ha un mucchio di quattrini."
Sedevano insieme a un tavolo contro il muro vicino alla porta del caffè e guardavano il marciapiede dove i tavoli erano tutti vuoti tranne quello dove sedeva il vecchio all'ombra delle foglie dell'albero che il vento muoveva appena. Una ragazza e un soldato passarono per la strada. La luce del lampione brillò sul numero di ottone che il soldato aveva sul colletto. La ragazza era senza cappello e camminava frettolosamente al suo fianco.
"Si farà pizzicare dalle guardie" disse un cameriere.
"Cosa importa se ottiene ciò che vuole?"
"Faceva meglio a togliersi dalla strada. La guardia lo pescherà. Sono passati cinque minuti fa."
Il vecchio seduto nell'ombra tamburellò col bicchiere sul piattino. Il cameriere più giovane gli si avvicinò.
"Che cosa desidera?"
Il vecchio lo guardò. "Un altro brandy" disse.
"Si ubriacherà" disse il cameriere. Il vecchio lo guardò. Il cameriere se ne andò.
"Rimarrà tutta la notte" disse al collega. "Io comincio ad aver sonno. Non vado mai a letto prima delle tre. Avrebbe dovuto uccidersi la settimana scorsa."
Il cameriere prese la bottiglia di brandy e un altro piattino dal banco all'interno del caffè e marciò verso il tavolo del vecchio. Depose il piattino e riempì il bicchiere di brandy.
"Avrebbe dovuto uccidersi la settimana scorsa" disse al sordo. Il vecchio fece dei segni col dito. "Un altro po'" disse. Il cameriere continuò a riempire il bicchiere finché il brandy traboccò e colò lungo lo stelo del bicchiere nel primo piattino della pila. "Grazie" disse il vecchio. Il cameriere riportò la bottiglia nel caffè. Tornò a sedersi al tavolo con il collega.
"Adesso è ubriaco" disse.
"È ubriaco ogni notte."
"Perché voleva uccidersi?"
"Come faccio a saperlo?"
"Come ha fatto?"
"Si è impiccato con una corda."
"Chi lo ha tirato giù?"
"Sua nipote."
"Perché lo hanno fatto?"
"Paura per la sua anima."
"Quanti soldi ha?"
"Tanti."
"Avrà ottant'anni."
"Forse qualcuno di più."
"Vorrei che andasse a casa. Non vado mai a letto prima delle tre. È quella l'ora di andare a letto?"
"Sta alzato perché gli piace"
"Lui è solo. Io no. A letto ho una moglie che mi aspetta."
"Una volta l'aveva anche lui."
"Adesso una moglie non gli servirebbe a niente."
"Chi lo sa? Con una moglie forse starebbe meglio."
"Gli bada sua nipote. Hai detto che lo ha tirato giù lei."
"Lo so."
"Non vorrei diventare così vecchio. I vecchi sono sporchi."
"Non sempre. Questo vecchio è pulito. Beve senza sbrodolarsi. Anche adesso che è ubriaco. Guardalo."
"Non ho voglia dì guardarlo. Vorrei che andasse a casa. Non ha rispetto per chi deve lavorare."
Il vecchio alzò gli occhi dal bicchiere, guardò la piazza, e poi i due camerieri.
"Un altro brandy" disse, indicando il bicchiere. Il cameriere che aveva fretta gli si avvicinò.
"Finito" disse, parlando con quelle omissioni sintattiche di cui si servono gli stupidi quando si rivolgono agli ubriachi o ai forestieri. "Stasera basta. Adesso chiuso."
"Un altro" disse il vecchio.
"No. Finito." Il cameriere pulì l'orlo del tavolo con uno strofinaccio e scosse la testa.
Il vecchio si alzò in piedi, contò lentamente i piattini, tolse di tasca un borsellino di cuoio e pagò, lasciando mezza peseta di mancia.
Il cameriere lo seguì con lo sguardo mentre si allontanava lungo la strada, uomo vecchissimo che camminava con passo incerto ma con grande dignità.
"Perché non hai lasciato che restasse qui a bere?" chiese il cameriere che non aveva fretta. Stavano abbassando le serrande. "Non sono ancora le due e mezzo."
"Voglio andare a letto."
"Cos'è un'ora?"
"Per me più che per lui."
"Un'ora è uguale per tutti."
"Parli anche tu come un vecchio. Può comprarsi una bottiglia e bersela a casa."
"Non è la stessa cosa. "
"No, non è la stessa cosa" ammise il cameriere ammogliato. Non voleva essere ingiusto. Aveva soltanto fretta.
"E tu? Non hai paura di andare a casa prima della solita ora?"
"Stai cercando d'insultarmi?"
"No, hombre, solo di dire una battuta."
"No" disse il cameriere che aveva fretta, raddrizzandosi dopo aver abbassato le serrande di metallo. "Io ho fiducia. Sono pieno di fiducia."
"Hai giovinezza, fiducia, e un lavoro" disse il cameriere più vecchio. "Hai tutto."
"E a te cosa manca?"
"Tutto tranne il lavoro."
"Hai tutto quello che ho io."
"No. Non ho mai avuto fiducia e non sono giovane."
"Dai. Smettila di dire sciocchezze e chiudi a chiave."
"Io sono di quelli ai quali piace stare al caffè fino a tardi" disse il cameriere più vecchio. "Con tutti quelli che vogliono andare a letto. Con tutti quelli che hanno bisogno di una luce per la notte."
"Io voglio andare a casa e a letto."
"Siamo due razze diverse" disse il cameriere più vecchio. Adesso era vestito per andare a casa. "Non è solo questione giovinezza e di fiducia, anche se sono bellissime cose. Ogni notte io sono restio a chiudere perché può esserci qualcuno che ha bisogno del caffè."
"Hombre, ci sono delle bodegas aperte tutta la notte."
"Non capisci. Questo è un caffè piacevole, pulito. È illuminato bene. La luce è molto buona e, adesso, ci sono anche le ombre delle foglie."
"Buonanotte" disse il cameriere più giovane.
"Buonanotte" disse l'altro. Spegnendo la luce elettrica continuò la conversazione con se stesso. È la luce, naturalmente, ma bisogna che il locale sia piacevole e pulito. Non ci vuole la musica. La musica non ci vuole di certo. E non puoi stare dignitosamente in piedi davanti a un banco, anche se per queste ore della notte un banco è tutto quello che ti danno. Di che cosa aveva paura? Non era né paura né timore. Era un niente che conosceva troppo bene. Era tutto un niente, e anche un uomo era niente. Era soltanto questo, e tutto quello che ci voleva era la luce, e un certo ordine e una certa pulizia. Alcuni ci vivevano e non lo avvertivano mai, ma lui sapeva che era tutto nada y pues nada y nada y pues nada. Nada nostro che sei nel nada, nada sia il nome tuo, il regno tuo, nada sia la tua volontà, nada in nada come in nada. Dacci questo nada il nostro nada quotidiano e nadaci il nostro nada come noi nadiamo i nostri nada e non nadarci in nada ma liberaci dal nada; Ave niente pieno di niente, niente sia con te. Sorrise e si fermò davanti al banco di un bar con una lucente macchina da caffè a vapore.
"Cosa prende?" chiese il barista.
"Nada."
"Otro loco mas" disse il barista, e gli voltò le spalle.
"Una tazzina" disse il cameriere.
Il barista glielo versò.
"La luce è molto viva e piacevole, ma il banco non è lucido" disse il cameriere.
Il barista lo guardò, ma non rispose. Era troppo tardi per fare conversazione.
"Vuole un'altra copita?" chiese il barista.
"No grazie" disse il cameriere, e uscì. Non gli piacevano né i bar né le bodegas. Un caffè pulito, illuminato bene, era una cosa molto diversa. Adesso, senza pensarci più, sarebbe tornato nella sua stanza. Si sarebbe messo a letto e finalmente, alle prime luci dell'alba, si sarebbe addormentato. Dopo tutto, si disse, probabilmente è soltanto insonnia. Chissà quanti ce l'hanno.


3 commenti:

Artax ha detto...

Ciao...provo a buttare lì un po' di riflessioni...almeno per parlarne piacevolmente...Come "dichiarazione di poetica", questo racconto (e anche la premessa :) )non fa una piega!!
Del resto quello che è evidente è una sorta di aderenza, si dovrebbe dire ai fatti, ma resterebbe comunque una gran parte "suggestionata", in qualche posto o molto limpido o molto in ombra. Dividere in parti sembrerà certo ridicolo nella sua categoricità, quasi approssimativo e "accademico". Quindi provo a parlare diversamente...
Ho letto e la prima impressione è stata quella di trovarmi di fronte ad una mano che guidava il mio sguardo; cinematografica?Perché no!
La camera si spostava su alcuni elementi, era una questione di luce, potevo pensare il solito: "se fosse stato un film non avrei avuto il privilegio di immaginare!" Ma questo non lo credo più, proprio perché è una questione di luce e di inquadratura e di montaggio, in un film si vedono alcune cose, come in un racconto si descrivono alcune cose della scena, è certo questione di essenzialità: cosa è essenziale che ci sia?Forse non molto meno di ciò che c'è nel testo, ma un film certamente richiede altre esigenze. Le domande a questo punto mi si ponevano davvero ardue: Qual è quindi la differenza tra mostrare attraverso un'immagine e mostrare attraverso un segno scritto? Potrei immaginare questo testo come una sceneggiatura? Credo di si, ma cosa mancherebbe, solo la notazione dei movimenti di macchina? Cosa c'è di diverso? Perché mi viene da pensare a questo?
Vado a ritroso partendo dall'ultima, credo mi venga da pensare a questo perché è Hemingway che mi ci fa pensare, nel senso che la sua scelta è quella del contingente, di collocare tutto qui e ora, da lì si narra il resto e si narra come da sé, sempre lì dentro. Non so se mi spiego, è come se ci dicesse che se vogliamo capire qualcosa, sentirla, vederla, la dobbiamo cercare dentro a ciò che accade non altrove, non c'è un'idea universale, un'essenza, essa è "niente e poi niente". Allora se non c'è l'Idea, quando nella mia testa leggendo io immagino e sto proprio girando il film su quella sceneggiatura, forse non faccio niente di diverso dallo scrivere come e esattamente come Hemingway ha scritto. Eppure non è così, ne siamo costantemente coscienti, il film mi lascerebbe certamente meno libero. Ciò, si direbbe accademicamente avviene a causa della minore arbitrarietà del segno immagine-scenica, rispetto al segno-scritto. Quindi forse è molto diverso ciò che mi si sta dicendo: sarebbe piuttosto come se Hemingway scrivendo così come ha scritto: ricollocando tutto all'interno di ciò che accade, dichiarasse anche che è assolutamente molto labile, quasi inconsistente ciò che accade, rispetto a ciò che si vuole raccontare. Ciò che accade è solo una qualche piccola manovra che stabilizzi la barra, il resto è lasciato ad una libera navigazione.
E allo stesso tempo mi dicesse, che è assolutamente sbagliato, al fine di raccontarlo, cercare di nominare quel "mare".
Eppure c'è un margine, un equilibrio tra il detto e il non detto, che si realizza forse solo a seconda di come l'autore si pone verso il suo lettore implicito, il soggetto del racconto, il gusto. Credere di eluderli è un errore, perché essi in fin dei conti sono a loro volta segni oltre che "oggetti": il fatto che Hemigway parli di un caffé, che è diverso da un bar, che deve essere limpido e pulito, di un vecchio e non di un ragazzo, ubriaco e non che beve coca-cola, ecc.; so che mi si dirà che questi elementi fanno la storia nella sua totalità e quindi anche il suo non detto, ma finiscono per farmi pensare se questo non detto non diventi a sua volta un segno, se sia strettamente legato a ciò che si dice, che sia quindi falsamente libero...e se non è libero, come è possibile che il lettore libero lo colga?
Se mi si risponde che tutto ciò non è importante, è importante solo ciò che sentiamo leggendo, allora perché scrivere questo e non qualcos'altro?
Infine, forse a toro, mi chiedo: quando si scrive è possibile lasciare al non detto la possibilità di esprimersi, o esso irrimediabilmente viene sempre incatenato e quindi mistificato?

P.S. Perdono per la prolissità e il poco controllo dei pensieri, forse non molto chiari. Dopotutto è solo uno dei possibili commenti...

Sundiata ha detto...

@Artax
Consiglio vivamente l'opzione badile. Lavorare stanca. Il cambiamento non parte di certo da discorsi indecifrabili ai più e autoreferenziali. Auguri

Artax ha detto...

@Sundiata
Lo prenderò come un consiglio, purtroppo credo che bisogna essere portati anche in quello, ma non demordo magari ci sarà spazio anche per quello che propongo io: siano esse vangate da gettare sui più, indecifrabili messaggi autoreferenziali o lavoro che permetta ai frutti di nascere dalla terra. Ti ringrazio comunque per aver partecipato ai commenti, tra l'altro vedrai che troverai autori del blog che la pensano esattamente come te, quindi magari potresti confrontarti con loro e mettere in gioco anche le tue opinioni.
Se ad ogni modo ti riferisci a questo commento in particolare ti chiedo: Cos'è che non ti è piaciuto? Perché non hai anche tu detto la tua sul post? Forse volevi solo dare una dritta a me, ti ringrazio per l'interessamento, ma se è per questo, perché farlo proprio qui? Ci sono dei post che ho scritto direttamente io, visto che la tua critica mi sembra su tutto quello che scrivo...
Ad ogni modo credo che leggere sia anche una forma di compassione (nel senso totale del termine), indipendentemente dall'opinione che poi hai di ciò che hai letto...del resto questo in un certo senso è un pericolo non trovi?