domenica 23 novembre 2008

Rousseau quanti danni ai cervelli anfibi!

Siamo tutti dei terremotati e non ce ne rendiamo conto!
Intorno a noi il mondo si sgretola, crolla, non ce la fa a stare su, non ce la può fare, perchè tutto e tutti remano contro ad un reale cambiamento. Quanto è facile distrarsi dalle situazioni più penose, porre lo sguardo altrove, dove un pensiero felice e l’illusione del benessere ci fanno sentire meno soli. Ma per quanto si può continuare? Per quanto riusciremo ad ignorare che le cose in Italia così come sono non vanno? Che siamo pieni di apparenti certezze, di cose, di inutili passatempi, ma non di Sostanza? Indignazione o Indifferenza? Che cosa è meglio? Che atteggiamento vogliamo mantenere se pensiamo al nostro futuro?
Troppe domande Rana... crollerà il cielo anche sul tuo stagno! Crollerà come crollano i soffitti di fatiscenti istituti sulle teste di ragazzini, verrà dimenticato come i laboratori di ricerca universitari, verrà violentato come i corpi di chi chiede solo la possibilità di scegliere, sarà seppellito sotto le macerie di disastri annunciati, verrà fatto passare sotto silenzio, perchè fa paura aprire gli occhi, fa paura rendersi conto di quanto gli esseri umani siano alle volte peggio degli animali, capaci di bassezze inspiegabili, di follie senza giustificazione. L’autodistruzione prima di tutto! Vivi veloce, mangia, cresci, sbaffa, fotti, calpesta, fai soldi, sporcati, pulisciti, redimiti, ma anche no, sensi di colpa, sesti sensi, onnipotenza, violenza, violenza, violenza. Non c’è tempo, non ne abiamo mai avuto, tutto corre, o ci vogliono far credere che sia così. Gli animali non hanno la percezione del Tempo, noi siamo troppo consapevoli, ecco che cosa è tutta questa foga: Fai qualcosa, non c’è Tempo, è TARDI tutto è perso, presto che è tardi.....Non c’è TEMPO.
Reagisci, ti dibatti, ma se sei solo come fai? Ci vuole il numero, ci vogliono le persone che vogliono smettere di avere paura nonostante sia così difficile, che si siano rese conto della situazione grottesca, da commedia dell’arte, perchè i personaggi ci sono tutti. Siamo tutti personaggi...Viviamo recitando staticamente, siamo automi, siamo fotogrammi, siamo tutto e niente, siamo quello che vogliamo essere, siamo una generazione Inconsistente! Rime, rime, scioglilalingua...
Mi gira la testa, mi si chiudono i pori anfibi..Non respiro. Asfissia!
E allora assisti, sei impotente, perchè ti hanno fatto credere di essere impotente. Piangi per le stragi, i genocidi, le pulizie etniche, la noia che genera la più assurda violenza e ti chiedi perchè? Ti chiedi anche perchè nessuno sembri chiedersi il perchè? Chaplin che stringe i bulloni....La catena di montaggio...dove è Rousseau? Tu lo conosci Rousseau? “L’uomo è nato libero, ma ovunque è in catene!”.
Le catene, catene che nessuno vuole avere, ma tutti vogliono mettere: possesso, potere, volontà altrui piegate al tuo volere...Onnipotenza...Follia umana!
Mi serve una doccia calda, uno stagno tropicale, la foresta Amazzonica, la Natura (finchè ci sarà ancora)...Ho freddo, ancora tanto freddo!

2 commenti:

oribuz ha detto...

Il commento in quanto tale mi dà l'impressione di qualcosa di vacuo, di evanescente, una considerazione su qualcosa che viene mostrato, è dire "quello è un buon vino", "quella donna farebbe meglio a indossare qualcosa di più largo" o il più banale degli "hai ragione". Poco, troppo poco un commento per poter dialogare.
Ma scorderò il significato di una parola e cercherò di scriverne altre.
Per prima cosa vorrei delocalizzare l'intero discorso: in Italia si sta male ma credo che sia più giusto partire dalle singole individualità, pensarci non legati per forza ad un pezzo di terra, ad un'idea di casa. Mi sento smosso da un certo discorso che c'è in quelle parole ma non so in che senso. Sento la passione delle domande che tenta di dare razionalità alle mie parole ma i punti sono tanti. Non sappiamo più protestare, ci ricordiamo solo che "la protesta" è quella della piazza, dei cortei, è quella l'espressione vera di coloro che vogliono farsi sentire. La politica si evolve con la società perchè deve controllarla ed è così che ha preso le misure da quella forma di delegittimazione. Non colpisce più,perchè semplicemente la classe politica ha smesso di rendersi disponibile all'ascolto, ha smesso di valutare quella forma di protesta come qualcosa che può togliere forza al loro potere. Questo lo dico perchè sento il bisogno di riformulare la maniera in cui si dice di no a qualcosa. La dimensione tempo è sicuramente l'angheria più cocente, la cosa che più ci tiene a bada, è la paura più viva e meno tangibile dei nostri tempi: la paura che il tempo ci risucchi, ci stritoli e ci abbandoni con la nostra grossa scatola piena delle cose che volevamo fare, ancora sigillata. La libertà declinata nel senso della nostra società è avere i soldi per poter fare quello che vogliamo. Il punto credo non sia capire cosa c'è di sbagliato in questa definizione di libertà, ma capire che l'altra condizione di dipendenza, di inamovibiltà, di impotenza nella quale siamo immersi è quella economica. Ho bisogno di soldi per mangiare, vestirmi, per essere nella mia società. Se l'indipendenza dalla sfuggente, veloce condizione temporale della nostra vita è "solo" una questione di allenamento mentale, di ripensare alle azioni, alla vita in generale in altri termini, l'indipendenza dalla condizione di sudditanza economica è questione più complessa. Se non ci pensiamo, siamo già in trappola, perchè il nostro finto non curarci della cosa ci fa accettare lievemente il fatto che le piccole azioni che sbrigiamo sono l'esecuzione del grande comando sociale "fà qualcosa, studia, trova un lavoro, cerca il sostentamento, i soldi". La strada è liscia, lastricata quotidianamente da ogni singolo individuo, tutto indica un'evoluzione che sembra differire nei dettagli in maniera anche rilevante ma parte e muore lì dove non può cambiare nulla, dove non può far male: da un'insegnamento sempre più frammentato, pronto all'uso lavorativo verso un impiego che o non ci riguarda intimamente, non segue le nostre aspirazioni-ispirazioni o non è affatto un'attività reale, un lavoro, è un surrogato di azione monetariamente retribuito. Non perdiamo tempo a protestare. Il dettame "il tempo è poco" forse è vero. E' poco per capire veramente cosa siamo-cosa volgiamo, è poco se lo impieghiamo a fare solo quello che ci dicono di fare, di leggere e studiare solo quello che è didattico è didatticamente utile. Non ho tutte le risposte ma ho un calderone di considerazioni e qualche idea. Credo che per capire a fondo cosa sono dovrò frugare in una cultura autonoma che mi dia altri punti di vista. Credo che mi occorre essere preparato su molte cose fattuali della vita in questo sistema sociale e politico come l'economia, come la sociologia, la psicologia, capire in che maniera queste cose possono essere utilizzate per fare "altro". Purtroppo non sento l'impulso a costruire niente di nuovo anche perchè mi sento impreparato alla costruzione di qualcos'altro, non conoscendo bene neache questo stato di cose. Non credo neppure ad un solido collante tra le persone per ottenere qualcosa. Le individualità sono collegate da spunti, pensieri ma se agiscono insieme, si pensano cosa sola seguendo vecchi schemi (classe, genrazione, movimento) finiscono con l'annullarsi. Credo si debba lavorare molto su se stessi. La libertà forse non esiste se consideriamo tutti i però (il però delle relazioni umane e dei suoi paradigmi di appartenenza-dominio, il però delle sensazioni inspiegabili e non razonalizzabili - l'amore, l'odio - il però della stessa condizione della vita umana, che inesorsabilmente termina - ma non volgio accettare l'inamovibiltà che deriva naturalemente dal pensiero che non posso essere libero. Voglio scegliere e se lo devo fare nel nulla, voglio scegliere di fare più che non fare. Se posso il mio desiderio è riuscire a inceppare, far andare meno bene, se ho fortuna e bravura a distruggere le grandi compatte macchine istituzionale che regolano questo genere di vita.Ci sono molti campi in cui poterlo fare, io sto scegliendo l'economia perchè mi piacerebbe vedere il capitalismo ferito che offre un fianco allo sguardo delle persone che di colpo si fa attento. Questo è quello che desidero: un bag nel sistema, magari anche non grande ma che riesca a svegliare, che faccia fare delle domande. Non so con precisione come otterrò questo bag, ma so che centrano la psicologia e lo sfasamento tra economia reale (produzione, merci, lavoro) e l'economia finanziaria (la rappresentazione-valutazione-commercio dell'economia reale). Non penso che a tutti possa interessare, non mi illudo, ma il mio punto di vista parte dalla considerazione che se questo sistema di vita non funziona e l'economia ne è parte integrante se non "formante", poter creare un buco nella fitta maglia del capitalismo potrebbe generare uno spiraglio dal quale guardare cosa altro può esserci.
Non so se sono stato coerente nella dissertazione, molte cose le ho solo accennate, altre lasciate ad altri discorsi che a questo punto sono curioso di imbastire-ascoltare.
Concludo riprendendo una considerazione che riguarda il fattore Italia: sono stato ad una presentazione di un libro sulla generazione erasmus, letteratura che ha molte parentele con il becero. La cosa che mi ha interessato della presentazione era l'intento di fondo: spronare i "giovani"(quanto è fantasticamente retotico) a partire, per ogni forma di esperienza all'estero. Dietro tutta l'asettica semplicità con la quale questo intento era stato proposte c'erano però delle idee. Primo, se questo paese va male rispetto ad altri, una delle cose che si possono fare e vedere COME gli altri stati funzionano meglio e capire qualcosa. Secondo, se nel mio paese seguo un iter di studio "nazionale" e mi ritrovo in condizioni lavorative-sociali precarie o peggio, togliendo personalmente il mio culo dalle scomode sedie che mi propongono nel bel paese, andando via, forse posso contribuire a togliere carne a questa graticola (l'esempio pratico che era fornito è: se mi propogono in Italia un lavoro, stage sotto pagato o non pagato, parto, mi arrangio ma vado da qualche parte dove per lo stesso impiego vengo pagato meglio e contribuisco a rendere sistematicamente la proposta nazionale sempre meno proponibile perchè altri a quella proposta potrebbero rispondere come me-circolo virtuoso).
Cmq, forse mi sono perso, però credo che un minimo di cose l'ho dette. Solitamente non uso queste forme di comunicazione-espressione (per scetticismo fondamentalmente),ma sono curioso di vedere cosa succede ora, se un dialogo o uno scambio di punti di vista è possibile.

Rèvolutionnaire ha detto...

L'animo sovversivo della RanaCattiva si sente...Alle volte è ingestibile, proprio per la foga e l'icontinenza di un pensiero evidentemente non mediato da sovrastutture convenzionali. Quello che intendo è che va benissimo essere sovversivi, ovvero, sapersi indignare per una condizione recepita come castrante e palesarlo sotto forma di sfoghi che sappiano porre l'attenzione su un problema comune, però alle volte bisogna saper proporre delle soluzioni possibili, anche a costo di sembrare folli utopisti. Credo che nelle nostre condizioni sia difficile trovare delle concrete soluzioni a problemi tanto complessi che fatichiamo perfino a focalizzare. C'è di reale una sensazione di malessere ed insoddisfazione profusa, derivante dalla consapevolezza della fragilità del nostro futuro, se ancora lo possiamo definire così. C'è che alcuni cercano disperatamente di fottere il sistema che non abbiamo creato noi, ma nel quale ci siamo trovati nostro malgrado ( fa tanto: "la crisi è da imputarsi ai governo precedente!"). Il fatto è che la condizione è questa, siamo tutti nella stessa barca, siamo tutti dispersi ed alcuni non vogliono più esserne vittime,allora cosa manca?Manca una volontà di base che spinga alla collaborazione per creare un Domani a nostra immagine e somiglianza, un domani fatto di voci diverse, di tante esperienze che se riuscissero a rispettarsi ed ascoltarsi a vicenda potrebbero fare grandi cose. E' un risultato non da poco secondo me provare in questo piccolo a confrontare pensieri e modi di vivere e vedere apparentemente lontani, modellati da studi ed esperienze che poco centrano le une con le altre, frutto di percorsi alternativi, alle volte paralleli, che nonostante tutto si sono intersecati in un punto. Il punto si può chiamare paura della precarietà, ricerca disperata di un Senso, voglia di migliorare la propria condizione. Io vorrei trovare più persone capaci di "protestare", non per vana voglia di abbandonarsi all'invettiva, ma per semplice senso civico di servizio. I modi saranno tutti da reinventare e questo è principalmente il Nodo di Gordio che dovremmo impegnarci a sciogliere iniziando anche solo con il proporre e il discuterne in questa sede. Questo è il poco che vorrei vedere, un piccolo impegno, che chissà magari potrebbe portare tra qualche tempo, a mente lucida, a qualcosa di concreto....Vedremo...