domenica 2 novembre 2008

La legge, la fede e il caso di Eluana Englaro

Qualche giorno fa, mi sono messo a guardare L'infedele, il programma televisivo diretto da Gad Lerner. In studio era presente come ospite d'onore, che farà anche comprendere il tema della puntata, Beppino Englaro il padre di Eluana Englaro, la ragazza che aspetta da anni che la legge e la politica italiana le permettano di veder terminata la sua vita. Il tema evidentemente è molto complesso e va a toccare la struttura portante di qualsiasi etica, dai più forti istinti umani ai più radicati valori morali. In studio, come è solito farsi in tali talk show, vi erano altri ospiti divisi a seconda dell'opinione di cui erano portavoce, le due principali: chi era d'accordo che in Italia si formuli una legge che regoli la situazione verso una accettazione della possibilità di dare fine alla vita di alcune persone in determinati casi, in questo caso di permettere ad un medico consenziente di staccare i macchinari che continuano a tenere in vita Eluana (più precisamente di estrarre il sondino che la alimenta); chi, al contrario, riteneva che una tale legge nel diritto di uno stato, purché laico, sia inammissibile perché contraria a qualsiasi valore e principio di vita, che il diritto per eccellenza difende. Quasi inevitabilmente tale posizione era accompagnata dalla professione di una confessione cattolica, anche se tra i credenti era presente anche il teologo Vito Mancuso, che benché cattolico credente, appoggiava le richieste di Englaro e denunciava il bisogno della Chiesa di riconsiderare le proprie impostazioni a riguardo, proprio attraverso il recupero di quei valori che sono a fondamento e traguardo della chiesa cattolica stessa: quali il libero arbitrio, il concetto di persona, il valore della morte come passaggio verso la salvezza e non ultimo il principio dell'autodeterminazione dell'individuo. Quest'ultimo, nella continuazione del dibattito, è stato assunto come fulcro della questione: un individuo è libero di scegliere la propria morte, essa è considerabile come libertà? Ma soprattutto uno stato può fondarsi su una legge che preveda il riconoscimento di questa libertà?
La trasmissione, come forse sempre è successo per questo tema, si è conclusa con tanti chiarimenti e nessuna soluzione, se soluzione può esserci. Ma neanche un avvicinamento delle rispettive posizioni.
E' evidente che alla base c'è un concetto diverso di libertà, da una parte essa indica la possibilità che un individuo ha di determinare la propria individualità per quello che concerne la propria persona (i limiti che essa prevede, cioè generalmente "l'iniziare e concludersi con l'altrui libertà" sono problemi che porterebbero ad un ulteriore discussione, qui non fondamentale, ad ogni modo essa è garantita dallo stato di diritto stesso); dall'altra la libertà è la possibilità donata da Dio di rendere grazie attraverso opere e professioni del dono stesso della vita, nell'attesa e speranza della salvezza eterna. Apparentemente le due posizioni sono inconciliabili, ma non lo sono. In realtà la concezione cattolica, va ad inserirsi perfettamente nella garanzia di autodeterminazione sancita dal diritto. Ma nel caso in questione la contraddizione nasce e si palesa; ma ancora una volta, a mio avviso, solo apparentemente. Il fulcro del problema non è nella autodeterminazione, ma invece nei valori stessi e nelle problematiche che essi portano, propri dell'impostazione cattolica. Il caso in cui una persona si trovi a vedersi prolungata la vita attraverso dei macchinari, è evidentemente un caso in cui non è la natura a fare il suo corso, ma è una prassi dettata dal libero arbitrio umano, libero arbitrio che la religione cattolica stessa ha posto come fondamento basilare della sua dottrina. E' impossibile potere stabilire di un evento quanto esso sia frutto della scelta degli uomini e quanto esso sia verificatosi secondo la provvidenza divina, si dovrebbe quasi affermare che entrambe allo stesso modo si verificano, anche se concettualmente o forse meglio dire secondo una razionalizzazione dei precetti religiosi, sono contraddittorie.
L'impossibilità di dividere la responsabilità umana dall'atto divino, l'impossibilità di poter considerare una torre babelica come un atto di offesa a Dio perpetuato dalla superbia umana. qualcosa che Dio stesso ha "voluto" o meno. Questo dissidio che può risolversi solo attraverso la fede che è un ridarsi completamente a Dio, quindi un camminare nuovi passi a tentoni nella speranza di sentire la Sua mano a guidarci, non può proprio per la sua essenza essere a fondamento di una legge di uno stato civile democratico. Poiché essa dovrebbe regolare l'indeterminatezza, dovrebbe essere legge di Dio, in quanto regolante la sua "volontà", più che la nostra di esseri umani. E' evidente la follia di una tale impostazione. Detta in termini esemplificativi: Una persona che per un'incidente d'auto venga intubata e sopravviva attraverso i macchinari di una struttura ospedaliera e che in piena coscienza esprima la sua volontà di non ricevere più cure, cosa che la porterebbe verso la morte naturale, dovrebbe avere il diritto regolamentato da una legge dello stato di ricevere tale trattamento e non potrebbe considerarsi alcun caso, come la possibilità di una miracolosa guarigione, che possa ritenersi affrontabile in questa materia di legge se non sforando nel campo della regolamentazione del divino, ossia del provvido, ossia dell'innaturale: non-umano.
Infine si eliminerebbe la libertà di coscienza propria che permette la fede stessa (oltre che quella, anche possibile, di non voler essere dei miracolati) e sarebbe inammissibile come dato da porre l'eventualità miracolosa proprio nel momento in cui è imperscrutabile l'ordine, il verificarsi e il senso degli eventi. Chi si chiude dietro frasi che riguardano l'influenza culturale di un tale gesto o la simbologia o la contraddizione di come si possa scegliere la morte, visto che per essenza essa è mancanza di scelta, pone la questione su binari senza uscita, che non parlano del problema, ma lo evitano. La morte possiamo considerarla solo come evento della vita, non in altra maniera, in tal modo dobbiamo trattarla. Questo è il motivo per cui resta da attuare attraverso una regolamentazione di legge ad hoc il principio di autoregolamentazione della persona, del cittadino, riguardo alla morte nei casi come quello di Eluana Englaro; per garantire il valore di una democrazia attraverso il suo stato di diritto, il resto in tale questione è solo Burocrazia.

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