domenica 29 novembre 2009

Storia di un impiegato, n.3


Sogno numero due

Imputato ascolta,
noi ti abbiamo ascoltato.
Tu non sapevi di avere una coscienza al fosforo
piantata tra l'aorta e l'intenzione,
noi ti abbiamo osservato
dal primo battere del cuore
fino ai ritmi più brevi
dell'ultima emozione
quando uccidevi,
favorendo il potere
i soci vitalizi del potere
ammucchiati in discesa
a difesa della loro celebrazione.
E se tu la credevi vendetta
il fosforo di guardia
segnalava la tua urgenza di potere
mentre ti emozionavi nel ruolo più eccitante della legge
quello che non protegge
la parte del boia.
Imputato,
il dito più lungo della tua mano
è il medio
quello della mia
è l'indice,
eppure anche tu hai giudicato.
Hai assolto e hai condannato
al di sopra di me,
ma al di sopra di me,
per quello che hai fatto,
per come lo hai rinnovato,
il potere ti è grato.
Ascolta
una volta un giudice come me
giudicò chi gli aveva dettato la legge:
prima cambiarono il giudice
e subito dopo
la legge.
Oggi, un giudice come me,
lo chiede al potere se può giudicare.
Tu sei il potere.
Vuoi essere giudicato?
Vuoi essere assolto o condannato?

Appare subito chiaro, che il sogno come per una anticipazione, mostra all'impiegato un processo nel quale lui è imputato come bombarolo. Le caratteristiche del sogno mettono in scena anche la capacità di analisi del protagonista come funzione narrativa usata da De André per impostare un discorso intorno al ruolo che ogni pedina di un gioco di questo tipo assume, ovvero un gioco di potere dove ogni azione veicola una volontà e di conseguenza un potere. E' così che avviene un nuovo ribaltamento, il giudice funzionario del potere, mostra all'impiegato come con il suo gesto non fa che assumere su di sé il potere che vuole scardinare, poiché il potere è una proprietà interna all'atto, è la potenza e un atto violento che vuole rinnovare colpendo alla base la società, nei suoi valori, assume su di sé il potere di farlo. Affascinante il finale, in cui poiché si è all'interno di una situazione onirica e quindi ancora nel groviglio inconscio del protagonista, viene a delinearsi l'ambiguità di una posizione estrema e emarginante, che prevede ancora un bivio che l'impiegato dà a se stesso tra la propria “salvezza” e la propria “condanna”.


Canzone del padre

-Vuoi davvero lasciare ai tuoi occhi
solo i sogni che non fanno svegliare.-
-Sì, Vostro Onore, ma li voglio più grandi.-
-C'è lì un posto, lo ha lasciato tuo padre.
Non dovrai che restare sul ponte
e guardare le altre navi passare
le più piccole dirigile al fiume
le più grandi sanno già dove andare.-
Così son diventato mio padre
ucciso in un sogno precedente
il tribunale mi ha dato fiducia
assoluzione e delitto lo stesso movente.
E ora Berto, figlio della lavandaia,
compagno di scuola, preferisce imparare
a contare sulle antenne dei grilli
non usa mai bolle di sapone per giocare;
seppelliva sua madre in un cimitero di lavatrici
avvolta in un lenzuolo quasi come gli eroi;
si fermò un attimo per suggerire a dio
di continuare a farsi i fatti suoi
e scappò via con la paura di arrugginire
il giornale di ieri lo dà morto arrugginito,
i becchini ne raccolgono spesso
fra la gente che si lascia piovere addosso.
Ho investito il denaro e gli affetti
banca e famiglia danno rendite sicure,
con mia moglie si discute l'amore
ci sono distanze, non ci sono paure,
ma ogni notte lei mi si arrende più tardi
vengono uomini, ce n'è uno più magro,
ha una valigia e due passaporti,
lei ha gli occhi di una donna che pago.
Commissario io ti pago per questo,
lei ha gli occhi di una donna che è mia,
l'uomo magro ha le mani occupate,
una valigia di ciondoli, un foglio di via.
Non ha più la faccia del suo primo hashish
è il mio ultimo figlio, il meno voluto,
ha pochi stracci dove inciampare
non gli importa di alzarsi, neppure quando è caduto:
e i miei alibi prendono fuoco
il Guttuso ancora da autenticare
adesso le fiamme mi avvolgono il letto
questi i sogni che non fanno svegliare.
Vostro Onore, sei un figlio di troia,
mi sveglio ancora e mi sveglio sudato,
ora aspettami fuori dal sogno
ci vedremo davvero,
io ricomincio da capo.

Come per un improvviso tentativo di reimmersione, piuttosto che uscire dalla situazione onirica e ripiombarci nella realtà dei fatti della storia, De André ci spinge fino al fondo più oscuro del groviglio interiore dell'impiegato. La canzone del padre fa luce sulle paure, sugli elementi costitutivi e sulle immagini ossessive che dipingono una presunta vita futura, legata a quella realtà vissuta da piccolo borghese con il suo piccolo lavoro da impiegato. E' così che la voce interiore del giudice chiede “Vuoi davvero lasciare ai tuoi occhi solo i sogni che non fanno svegliare?”, ossia vuoi che la tua coscienza e con essa il tuo Ego, giunga alla verità, ai fatti di una vita da cui non ci si sveglia. L'avere occhi più grandi, significa certo essere più consapevoli, ma anche avere un ruolo maggiore, un potere maggiore, una autorità. L'autorità che sia del padre di educare i propri figli alle regole della società, ai suoi valori. L'autorità di un buon posto di lavoro, che perpetua le dinamiche su cui si basa una società, soprattutto dal punto di vista economico, da cui dipende spesso il resto. Così “le navi” sono tutto ciò su cui si ha un'influenza. Prendere il posto del padre, perpetuare una esperienza statica, all'interno dell'inconscio edipico “il tribunale mi ha dato fiducia assoluzione e delitto lo stesso movente”, ossia il delitto dell' “uccisione del padre” che rappresenta il potere mosso dal raggiungimento del suo ruolo e l'assoluzione per averlo ottenuto. Il parallelismo quindi tra l'autorità paterna e quella dello stato ha un determinato valore nello sviluppo del testo, il dilemma si muove da un ambito antropologico ad uno più strettamente storico e si aggrappa ad immagini legate al passato dell'impiegato e ad un eventuale futuro. L'illusione della realizzazione che si instaura su situazioni fatte di “alibi”, dati a se stesso per giustificare la meschinità dietro i rapporti che vengono evocati: Berto vecchio compagno di scuola, figura del ricordo che da un lato rappresenta l'emarginazione e il rifiuto degli schemi prestabiliti, dall'altro una bassa estrazione sociale che non ha vie d'uscita e ricade nella propria disfatta. Una moglie che ha la doppia sembianza metaforica di compagna e prostituta, come a dichiarare la malattia di una relazione coniugale basata sulla soddisfazione del reciproco interesse, così che agli occhi dell'impiegato lei si trasforma oppure forse la prostituta che frequenta gli appare più “moglie” della moglie stessa, tanto da affermare “lei ha gli occhi di una donna che è mia”, ma che appartiene al pappone di turno; descritto come un forestiero con “un foglio di via”, per metterlo in relazione alle strutture del potere statale che gestiscono le cose attraverso le leggi oltre che per colorare la bassezza dell'ambientazione. Infine il rapporto filiale, anch'esso destinato al fallimento dove il figlio appare un “reietto della vita”, abbandonato a se stesso “non gli importa di alzarsi neppure quando è caduto”.
Questi sogni realizzati dal giudice noumenico e satanico nella tentazione del potere concesso, vengono immediatamente rifiutati con una “bomba in testa” che “mette fuoco agli alibi”, alle giustificazioni ipocrite che il protagonista dà a se stesso per quella vita che ha potuto vivere in sogno. Alla fine del sogno la sua scelta non potrà essere altra che di rottura, distruttiva.

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