martedì 24 novembre 2009

Storia di un impiegato, De André (1973)



























Provo un tentativo di interpretazione dei testi, di uno dei concept album di Fabrizio De Andrè, con la convinzione di trovarmi di fronte ad una delle opere più rappresentative del decennio 73-83, ovvero di quelli che furono chiamati "anni di piombo".
Scriverò un post ogni due canzoni massimo, per agevolare la lettura.

L'album pare sia stato rinnegato dallo stesso autore, in quanto troppo dichiaratamente politico, credo però che a distanza di anni la chiara professione politica sia stata un elemento chiave per narrare con spessore e profondità il periodo, aggiungendo un valore di testimonianza e partecipazione.



Introduzione


"Lottavano così come si gioca ”, ovvero riconoscevano in se stessi una forza che spingeva tutti e che non era semplicemente assunta, ma che piuttosto sembrava una propensione, che quindi prendeva a colorarsi di una creatività, di un'estetica, profonda. Per questo accostabile al gioco, per la sua energia di immaginazione, per la sua capacità visionaria di trasformare la realtà.
Questo è possibile leggere nel solo primo verso di Storia di un impiegato (1973), certo intuendo il contesto che poi si verrà precisando con il secondo verso: “i cuccioli del maggio era normale”. Eppure al termine di Introduzione, prima traccia del concept album, è già tutto connotato diversamente. Fabrizio De André ha sì tracciato con una sola pennellata tutto il paesaggio sessantottesco, ma non solo, ha fatto molto altro, ha immediatamente immerso nella cattiva coscienza del protagonista, che poi si capirà essere un impiegato, l'ascoltatore.

Lottavano così come si gioca
i cuccioli del maggio era normale
loro avevano il tempo anche per la galera
ad aspettarli fuori rimaneva
la stessa rabbia la stessa primavera

Improvvisamente, quindi, veniamo calati nel punto di vista dell'impiegato, al quale con un gioco finissimo vengono messe in bocca o in testa le parole che perfettamente potrebbero descrivere il movimento sessantottesco, ma che dette o pensate con una accezione negativa vogliono più che altro addurre una giustificazione alla remissività del protagonista.
Lui non ritroverebbe la “primavera” della vita, né la stessa forza interiore d'istintività propria della gioventù, se fosse portato in carcere come eversivo, quindi resta a guardare. Ancora un sottilissimo gioco narrativo, con l'inserimento di “rabbia” sia si connota positivamente come “forza di protesta, che parte da una istintività propria della gioventù” quella dei "cuccioli" del maggio, sia si descrive la paura-consapevolezza dell'impiegato della propria inettitudine che è come un vuoto morale.


Canzone del maggio

Anche se il nostro maggio
ha fatto a meno del vostro coraggio
se la paura di guardare
vi ha fatto chinare il mento
se il fuoco ha risparmiato
le vostre millecento
anche se voi vi credete assolti
siete lo stesso coinvolti.
E se vi siete detti
non sta succedendo niente,
le fabbriche riapriranno,
arresteranno qualche studente
convinti che fosse un gioco
a cui avremmo giocato poco
provate pure a credervi assolti
siete lo stesso coinvolti.
Anche se avete chiuso
le vostre porte sul nostro muso
la notte che le "pantere"
ci mordevano il sedere
lasciandoci in buonafede
massacrare sui marciapiede
anche se ora ve ne fregate,
voi quella notte voi c'eravate.
E se nei vostri quartieri
tutto è rimasto come ieri,
senza le barricate
senza feriti, senza granate,
se avete preso per buone
le "verità" della televisione
anche se allora vi siete assolti
siete lo stesso coinvolti.
E se credete ora
che tutto sia come prima
perché avete votato ancora
la sicurezza, la disciplina,
convinti di allontanare
la paura di cambiare
verremo ancora alle vostre porte
e grideremo ancora più forte
per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti,
per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti..

Grado zero della narrazione. Scompare il punto di vista dell'impiegato, cosicché la canzone possa fare da connettore a più livelli: si potrebbe ritenerla l'oggetto fisico, ovvero la canzone effettiva che si cantava per le strade durante quel periodo, che simboleggia tutto l'imporsi delle vicende agli occhi dell'impiegato con la loro pregnanza e evidenza violenta. Unisce quindi sintatticamente Introduzione a La bomba in testa (terza traccia dell'albuma) come una congiunzione (elemento fisico, significante) e anche tematicamente, in La bomba in testa infatti si ritorna all'interno del punto di vista dell'impiegato.
Il canto porta l'evidenza dell'ipocrisia piccolo borghese con una violenza espressiva rivolta direttamente alle orecchie di ascolta, allegoricamente noi, ma letteralmente l'impiegato.
Il rapporto tra "l'essere assolto" e "l'essere coinvolto" si diramerà in tutto l'album, come una profezia da cui non si ha la possibilità di liberarsi, ma che richiedendo una risposta trasforma la reazione in ossessione, introducendo un incredibile spessore psicologico nell'intero discorso.

P.S. A Caddu che parlando di De André, mi ha fatto venir voglia di scriverne.

3 commenti:

LaRanaCattiva ha detto...

Una decima parte dell’umanità riceve la libertà della personalità ed ha un diritto illimitato sugli altri nove decimi. Questi devono perdere la personalità e trasformarsi in una specie di gregge e per mezzo della illimitata obbedienza raggiungere attraverso una serie di rigenerazioni l’innocenza primordiale, qualcosa come il paradiso primordiale …. Partendo da una assoluta libertà concludo con un assoluto dispotismo. (Dostoevskij, I Demoni ).
Noi siamo quello che facciamo o quello che proviamo ed immaginiamo? Quale è la maschera e quale l’essenza? Fare e pensare hanno la stessa forza dirompente per il singolo? Coincidono o vivono vite parallele e contrarie? Cosa spinge all’azione, quale verità si nasconde dietro la convinzione che porta all’atto? Quella verità è veramente oggettiva o ancora intrisa di brandelli di soggettività, che tendono ad escludere le verità altre? La Verità oggettiva ha una sua dimensione monadica o è semplicemente l’unione mediata di tutte le verità individuali? Sono questi gli interrogativi che si affollano nella mia testa inceppata ed anfibia quando ascolto Storia di un impiegato. Credo che tutto l’album oscilli continuamente tra questi piani. Dentro e fuori si rincorrono e si scambiano tra una canzone e l’altra, spesso all’interno della stessa canzone. Allora mi illumino perché l’intuizione avanza, c’è un sottotitolo : “ Vita di un singolo che diventa individuo e parte del tutto, attraverso l’autoaffermazione data dalla presa d’atto di essere pienamente responsabile delle proprie azioni”. E’ la storia della crescita di un essere umano, dei conflitti con tutte le figure di riferimento con le quali dovrà fare i conti per emergere pienamente, della lotta per l’eliminazione del Ruolo. E’ sorprendente il linguaggio utilizzato, criptico solo in apparenza e simbolico solo per immediatezza. De Andrè riesce a comunicare contemporaneamente un moto dell’anima con parole e musica che divengono un unicum inscindibile, perfettamente equilibrato, eppure composto da due parti assolutamente indipendenti e finite. E’ questo moltiplicarsi di perfezione a sconvolgere e rapire. La musica, alle volte si sostituisce alla parola, trascinando l’ascoltatore in una sorta di trance estatica, alle volte la sottolinea rinunciando all’armonia, divenendo pura ritmica: Il battito di un cuore che assorda il pensiero e al contempo lo fa diventare più preciso. E’ come se fossimo effettivamente nella testa e nel corpo dell’impiegato, perduti in una costruzione fatta di scatole cinesi, dove gli Altri appaiono e scompaiono come pensieri improvvisi, come fantasmi interpretati, voci fuoricampo filtrate attraverso una coscienza che non sa di essere tale.

LaRanaCattiva ha detto...

Manca la comunicazione con l’esterno, il confronto con una realtà che non piace e che si sente nemica. Il sogno, l’immaginario, lo specchio sono gli strumenti che dovrebbero deformare ed invece divengono mezzi attraverso i quali si può arrivare al disvelamento di una realtà, che cambierà volto, diventando Verità, solo quando si prende consapevolezza di sé, quando si decide di fare qualcosa e nel momento in cui la si fa c’è già un sentore di morte, la certezza di aver commesso un errore. Il pensiero si sviluppa organico e tangibile, cresce, si muove di continuo, cristallizzato,però, in un preciso momento, relegato sì nella memoria, ma sempre vivo, sempre in essere. E’ il passato che torna e viene rivisto alla luce di tutte le conseguenze scaturite da un’idea che si fa azione, ma è anche totalmente presente, come se quell’esperienza fosse stata assolutizzante ( precisa, finita, sempre uguale, necessaria e perfetta). La grandezza di Fabrizio è sempre stata una profonda oggettività, il suo pregio più grande è stato essere un grande traduttore, che ha saputo svelare il bello celato sotto il convenzionale brutto e il brutto nel troppo osannato bello. Ha cantato di re e di prostitute, con la stessa capacità di approfondimento e verità, erano tutte persone degne di essere raccontate dal punto di vista di chi osserva e fa dell’osservazione, quasi cronachistica, la sua partecipazione. Era uno spericolato umanista nel senso più alto del termine; senza paure ha cercato di descrivere acriticamente , anche se con veemenza la molteplicità del mondo. Pensavo fosse quasi impossibile mantenere l’oggettività quando la maschera può essere applicata al nostro stesso volto, eppure con Storia di un impiegato lui ci è riuscito perfettamente. Lo potrei definire attore, totalmente immedesimato nel personaggio, perché lui vive e sente in ogni momento il personaggio, lui questa volta è un impiegato (emozioni comprese … Continui cambi ritmici a seconda dell’argomento: scanzonato, sarcastico ed ironico quando è solo il bombarolo, malinconico e più intimista quando assume anche altri ruoli ad esempio di padre e marito). Dal racconto in terza persona, solitamente prediletto,De Andrè per la prima volta giunge con coraggio supremo alla prima persona; racconta le vicende di un uomo, un uomo suo coetaneo e come non pensare allora che per giungere a tale profondità di segno critico, lui non abbia pensato prima di tutto a se stesso, a quello che la situazione del suo paese lo ha costretto a sentire e pensare? Vero, non è mai arrivato a piazzar bombe fisiche, ma se ogni uomo per esser sincero e soddisfatto di sé deve esprimersi totalmente attraverso ciò che sa fare meglio, beh, anche lui ne ha piazzata una enorme nelle coscienze con questo album! L’impiegato è lui, siamo tutti noi nel momento in cui decidiamo di svoltare veramente la nostra vita, di prenderci una grossa responsabilità .E’ il racconto del lungo e travagliato percorso che parte dal riconoscimento dell’ipocrisia del mondo esterno , dalla realizzazione della propria insoddisfazione e fallimento nati da quell’ipocrisia, che ci ha contaminati attraverso l’imposizione di qualcosa di disumano che non ci appartiene fino in fondo e che noi rifiutiamo con sdegno. Il fatto che balzi immediatamente agli occhi l’elemento politico è necessariamente collegato al periodo storico in cui quest’opera ha visto la luce, quando la sovversione violenta sembrava l’unica vera possibilità di cambiare le cose perché il preoccuparsi della cosa pubblica aveva ancora un significato profondo di cambiamento concreto per la società e per il singolo. Nuovamente l’autoaffermazione . L’io esisto perché faccio qualcosa ed io esisto di più perché faccio qualcosa di giusto (o presunto tale) che gli altri non fanno. E’ verissimo questo è un album politico, ma per me e sottolineo per me, è prima di tutto una sorta di romanzo di formazione!
P.S. Mi piacerebbe pubblicare le mie parafrasi, magari possono servire a chiarire il perché sono giunta alle conclusioni che mi hanno fatto scrivere questo commento.

Artax ha detto...

Sarebbe interessante se anche tu publicassi delle parafrasi dei testi. Nascono sempre dei dialoghi prolifici, dati dal confronto. Ho per brevità e soprattutto perché di solito sono più attento all'opera che all'autore, omesso di dire che in realtà le canzoni sono state scritte assieme a Giuseppe Bentivoglio, tranne Sogno numero due che è stata scritta con Roberto Dané (tra l'altro spezzino). Ne avrei però parlato e credo che lo farò, nell'ultimo post su Storia di un impiegato, anche perché è interessante notare che la collaborazione con Bentivoglio c'è stata in album come Tutti morimmo a stento, Non al denaro non all'amore né al cielo e Storia di un impiegato. Album di sicuro spessore, benché sia difficile dire quali tra quelli di De André siano quelli di maggior spessore. Ad ogni modo credo sia una nota non da poco, che non muta comunque quello che si è detto.