martedì 3 novembre 2009

Rubrica: Edvard Munch, Pubertà



Appendo alla parete un'immagine che difficilmente riuscirò a slegare dall'influenza che ha nel caratterizzare il resto; in questo caso la pagina, il blu dello sfondo, il colore del testo, lo schermo, il mio portatile, l'ora del giorno o della notte...
Non è che in questo momento mi senta molto propenso a confidenze, così forse il tono è piuttosto un'inclinazione suggerita, una suggestione, che un imbonimento. Un po' nello stesso modo in cui l'intimità del quadro di Munch è già, dal momento in cui nasce alla sensibilità, accompagnata dal suo negativo, da una degradazione. Se si volesse descrivere Pubertà in ciò che raffigura si parlerebbe di un nudo, in particolare di un'adolescente nuda seduta su un letto spoglio, all'interno di una stanza altrettanto spoglia e si potrebbe dire, non erroneamente, che l'insieme di queste caratteristiche nella loro osmosi produce la sensazione di degrado e di nausea nell'immagine, come nel tentativo di mostrare l'interiorità della ragazza, di definirla. Allo stesso modo ad aumentare quest'impressione, oltre al tratto caratteristico di Munch e al suo cromatismo, contribuisce la densità iconica che l'ombra della figura femminile ha rispetto al resto degli elementi. Questa ombra letteralmente "incombe" su di lei, presagio di morte forse, certamente della sua presenza fatalistica o metaforica, ma anche dell'esistenza esasperata di una presenza. Spesso nei quadri di Munch le presenze, di qualsiasi natura esse siano, de-formano l'ambiente che le contiene attraverso tutta la loro esistenza, spesso aggiungendo sostanza alla loro figura per mostrare uno stato interiore. L'interiorità altera la realtà e Munch la dipinge.
Ciò che però mi ha portato a scegliere in particolare Pubertà, non è il fatto di preferirla per gusto ad altri suoi dipinti, piuttosto è una riflessione intorno allo sguardo, che credo mi abbia aiutato a capire di più questo artista. A seconda del quadro di Munch che si ha sotto gli occhi, è più o meno semplice affermare se sia l'interiorità dei personaggi ritratti o quella del pittore ad alterare la realtà in cui i personaggi sono immersi. Ovvero se sia una interpretazione o una visione di Munch a far nascere l'immagine.
Accostando Pubertà ad altri nudi, come quelli di Tiziano, di Goya o di Manet, si potrebbe quasi affermare che il soggetto del dipinto si sposti dalla figura rappresentata all'intenzionalità della rappresentazione o se si vuole dello sguardo. In Tiziano, in Goya o Manet, sebbene in modo molto diverso, la rappresentazione di nudi pare coniugare l'intenzionalità dello sguardo dell'artista che propriamente "sveste" la realtà svelando la costante brama del suo sguardo che deve raggiungere sempre più a fondo l'immagine che ritrae per poterla rappresentare, alla figura rappresentata, che essendo un nudo simboleggia maliziosamente tale sguardo. L'artista rinnova e ci mostra il nostro nuovo modo di guardare, che è un tentativo costante di svelare e nasconde una bramosia conoscitiva con forti accenti sessuali. Ma Munch in Pubertà fa un passo ulteriore, non è più una giovane donna piacente a essere ritratta nella sua floridezza, ma un'adolescente o forse ancor più la sua pubertà, ossia il periodo di trasformazione del suo corpo e la trasformazione interiore che ne consegue. E' il gesto ad avere un valore ancor più rivelatore rispetto ai suoi predecessori, visto che le mani giunte a nascondere il proprio sesso e la postura complessiva della ragazza esprimono la sua consapevolezza e il suo sguardo paura, perplessità e fragilità. Di conseguenza la malizia simbolica del nudo, non sta più solo a simboleggiare l'intenzionalità possessiva dello sguardo dell'artista (così come dello spettatore/società) che rimane presente nella sua forza, ma anche la consapevolezza del soggetto ritratto di poter essere oggetto di desiderio e possesso, di star subendo una trasformazione che assume su di sé la propria ambiguità. E' così che a divenire soggetto del dipinto è propriamente la reciprocità di sguardi tra l'artista/spettatore e la ragazza pubescente che perpetuamente continua a realizzarsi ad ogni visione del quadro, dimostrando l'incredibile novità di Munch.
Seguendo questa interpretazione è interessante notare come aumenti la drammaticità del quadro inserendovi la lettura dei temi topici di Munch: la morte, l'angoscia, il dolore.
L'artista traducendo in opera la reciprocità degli sguardi tra lo spettatore e la figura rappresentata può enfatizzare la drammatica dicotomia di Eros e Thantos, a lui cara, dove l'erotismo incastrato nell'intenzionalità dello sguardo dello spettatore si scontra con la consapevolezza di un mutamento del corpo, che più che richiamare la nascita è già annuncio di caducità, di transitorietà, il tempo agisce sul corpo. Il sentimento di morte è evidente per lo spettatore che lo vive in relazione all'erotismo evocato ed è solo un presagio sul viso emaciato della pubescente, un'ombra che incombe, minacciosa per lo spettatore stesso nel suo protendersi. La coscienza della morte, l'angoscia Kirkegaardiana, corre così sullo sguardo dello spettatore verso la sua interiorità, come dall'interiorità di Munch aveva portato a trasformare quell'immagine nel suo dipinto.

11 commenti:

LaRanaCattiva ha detto...

Personalmente quando mi accosto ad un quadro l'occhio diventa un obbiettivo, dal generale al particolare e poi daccapo sia per l'espressione pittorica che per l'intenzione sottesa ad essa.
Con Munch, come per molti altri artisti espressionisti, non conta tanto focalizzare l'inconsistente consistenza della nuda tela, quanto più, riuscire a “sentire” l'intenzione che sta dietro al vigore e alla disperazione del gesto pittorico. Una volta che la nostra attenzione da spettatori è stata catturata da un brandello di Onestà così prepotentemente esposto, inizia la parte attiva del nostro accostarci all'arte, ovvero, divenire “traduttori”... I quesiti iniziano, così, ad affollare la mente da “soggetto conoscitore”che esaltato dall'epifanizzazione della nuda veritas, non può declinare l'invito alla ricerca. Una ricerca esaltante, poiché coinvolge non solo l'artista al quale ci accostiamo, ma anche noi, intesi come umanità, come singolo che al contempo è parte di un tutto immutabile nei suoi schemi comportamentali. Detto questo, la domanda è una e naturale: Perchè? Perchè Edvard aveva bisogno di comunicare questo? Perchè la sua mente è stata colpita da quel soggetto e perchè io spettatore ne rimango affascinato?Il cromatismo utilizzato da quali recessi della mente di Edvard proviene e per quali recessi della mia mente quello stimolo cromatico, corrisponde alla determinata sensazione che provo in questo momento? Ciò che sentiva lui è quello che posso provare io (con l'ovvio grado di coinvolgimento)? Io sono mai stato Munch?La realtà che gli si parava dinnanzi era esattamente come è riuscito a tradurla, oppure qualcosa di più profondamente viscerale ha amplificato taluni stati d'animo fino ad esasperarne la visione? Allora se anche la mia visione di essere umano può arrivare ad un medesimo livello di contorsione, chi è il “monstum” e chi può giudicare chi?
Wilde si chiedeva da consapevole esteta quale era, che cosa fosse l'arte, con glaciale autoironia rispondeva: “Non è che un bisogno primario celato da un'inutilità imbarazzante”. Chiunque di noi in base al proprio gusto, alla propria formazione agisce sul mondo circostante VIVENDO e vivendo secondo i dettami della propria natura; l'elemento imprescindibile comune a tutti i gradi di auto consapevolezza (e a tutti i gradi di auto affermazione) è il bisogno di comunicare, che sia con gesti, parole o opere, il risultato non cambia, ricerchiamo una approvazione esterna che dimostri la nostra esistenza e che possibilmente faccia di più, ovvero, comprenda ed accolga il nostro mondo interiore, senza giudicare. Per dirla in parole povere abbiamo continuamente bisogno che la società ci assolva da quelli che comunemente si definirebbero “peccati” ,“mancanze” , “stranezze”o “meravigliose particolarità” e riesca al contempo, tramite questo scontro a farci capire cosa siamo; io aggiungerei che molti vorrebbero che fosse direttamente la società a dirci chi siamo, giusto per far prima, accorciare i tempi e seccature, giusto per indulgere e continuare ad allontanare la responsabilità di una presa di posizione. Anche l'artista (che sarebbe bello chiamare uomo/donna più sensibile rispetto alla media, caratterizzato da qualità espressive e comunicative preponderanti...NON è INUTILE PEDANTERIA ETIMOLOGICA, solo precisione!) , in quanto essere umano e non essere sovrumano, non può sottrarsi al contraddittorio gioco dell'inutile indispensabilità, poiché, se la realtà è una e con lievissimi spazi di manovra personale, l'unico valido motivo per rimanere nel gioco senza esserne sopraffatti, è in sostanza giocare assumendo un ruolo (quello così comodo dell'etichetta socialmente accettata), ma solo per raggiungere l'unico scopo degno di questo nome, ovvero incuriosirsi e conoscere, se stessi e gli altri. “Do ut des”, dare per ricevere, usarsi per usare, conoscere per conoscere.

LaRanaCattiva ha detto...

Per interpretare correttamente l'opera di Munch è ,dunque, imprescindibile la conoscenza del Munch uomo. Come si può pensare che per un'artista veramente onesto, che solo per la sua sconcertante onestà diviene degno di questo nome, l'aspetto biografico non conti? E come si può pensare che possa esistere uno scollamento tra opera e condotta CONSAPEVOLE di un artista?
Per abbreviare questo flusso di coscienza, dico che per comprendere “Pubertà”, bisogna partire dalla storia famigliare del piccolo Edvard. In tenera età perde la madre e da preadolescente la sorella entrambe per consunzione dovuta alla tisi. Si può affermare che la sua affettività sia stata eternamente mutilata, con l'espunzione di due figure femminili fondamentali, che avrebbero contribuito alla sana formazione della sua sfera sessuale ed alla naturale comprensione dei processi di naturale ciclicità della vita (ossessione per la Morte ed angoscia legata alla perdita).
L'opera di Munch è il frutto della sua sensibilità maturata attraverso il contesto socioculturale nel quale si è casualmente trovato. L'opera ne diviene simbolo, grandioso sunto di personalità interiore. Se fosse nata in un altro “Ora” e in un altro “Qui”sarebbe stata connotata come l'opera di un pazzo, (ancorché molto onesto... Ora che ci penso per vedere legittimato il suo valore Munch si dovette spostare a Parigi ed anche lì solo i più lungimiranti e “liberi” riuscirono a comprenderlo ) e non come quella di un traduttore sconvolto ed affascinato dalla visione della propria parte negativa e “malata”.
Munch si misura spesso con la dimensione privatissima della stanza da letto, così come con quella dello spazio esasperato dei fiordi norvegesi (vedi l'Urlo). Non trova mai una collocazione spaziale misurata e per lui più gestibile. E' l'interiorità celata che lotta di continuo con l'altro da sé, la natura, l'immenso; un duello che non può trovare vincitori o vinti perchè nessuno può vincere nel trovarsi singolo e umanità al contempo. Siamo entrambi punto e basta.
In Pubertà si avverte la necessità di fare i conti con qualcosa di estremamente privato, riprova ne è la reiterazione del soggetto, la sconcertante quantità di varianti, l'infinita declinazione ossessiva che mantiene sempre cristallizzata la medesima struttura, i colori, le deformazioni e le precise traduzioni, quasi fosse un'istantanea indelebile nella mente del pittore. Molto probabilmente Edvard voleva riproporre prima di tutto ai suoi occhi Qualcosa che in cuor suo non poteva ammettere perchè considerato un tabù, così l'unico modo per diminuire la pressione angosciante generata dal senso di colpa (ombra incombente) era comunicare nell'unico modo che riusciva a sentire suo e con minor grado di approssimazione. Munch sapeva che era la tela l'unica cosa reale e concreta che potesse “salvarlo”, l'unico mezzo fisico che lo potesse avvicinare al mondo esterno.
Ritrarre senza posa una modella preadolescente, bellissima, così affascinante nella sua tremenda pudicizia. Un moto spontaneo, un'attrattiva, uno sguardo. Bellissima e serena, gli occhi non tradiscono fastidio o paura, come se la situazione fosse normale, famigliare appunto. Forse la sorella in qualche circostanza sarà stata vista dal pittore nella stessa posa, gli avrà dimostrato la medesima tranquillità nei confronti dello sguardo fraterno oppure no, oppure sarà stato solo Edvard a fantasticarne, ma quanto lo deve aver colpito quella perfetta bellezza eterea e sicuramente a livello inconscio lo ha colpito ancor di più la consapevolezza che di quella bellezza non si può usufruirne ad libitum, poiché l'abbandono è parte integrante della vita, nessuno rimane per sempre e se rimane non può rimanere cristallizzato come in una fotografia!

LaRanaCattiva ha detto...

Alla luce si accompagna sempre il buio... Non si può fantasticare sul corpo nudo di qualcuno che ha il tuo stesso sangue; ergo, ecco la minaccia incombente del “NON SI FA, E' SCONVENIENTE”, che non cambia la sostanza di quella bellezza, ma la fa diventare soggetto producente (allontanamento di responsabilità) ed oggetto subente (Edvard che si rende conto che lei non può essere responsabile per un pensiero suscitato) dell'ombra. Eros e Thanatos, appunto.
Chiudo sottolineando il fattore dell'interazione profonda tra pittore e modella palesato dagli sguardi. Il tutto è estremamente composto, come a dire entrambi sono esattamente dove vogliono stare, forse anche perchè si rendono conto che è quel preciso legame a sancire l'esistenza reciproca. Uniti per convenienza, elezione o solo per darsi un senso. Chi contamina chi? E' l'artifex a far nascere nella Musa un senso, poiché la riconosce come tale o è lei che da un senso a lui, poiché lo spinge ad essere qualcosa di Vero?

“La vita morale dell'uomo costituisce per l'artista una parte del soggetto, o materia; ma la moralità dell'arte consiste nell'impiego perfetto di un mezzo imperfetto. Nessun artista desidera di dimostrare alcunché. Anche le cose vere possono essere dimostrate. Nessun artista prova simpatie di ordine etico. Una simpatia etica in un artista è imperdonabile affettazione stilistica. Nessun artista è mai morboso. L'artista può esprimere qualsiasi cosa. Pensiero e linguaggio sono per l'artista strumenti di un'arte. Vizio e virtù sono per l'artista materiali di un'arte.”
O. Wilde.



P.S. Mi scuso per le lungaggini, ma era un argomento troppo ghiotto per ridurre il tutto!
Molte linee guida, soprattutto sulla mia teoria dell'allontanamento infantile della responsabilità valgono anche per altri post....Se trovo tempo per adattare le mie prolisse idee commento volentieri.

Artax ha detto...

Ciao Rana, bentornata:). Il tuo commento è notevolissimo e non credo di essere in grado di dire molto, probabilmente sarebbe meglio fosse stato il tuo commento il post e il mio post il commento e non lo dico per piaggeria.
Ad ogni modo quello che credo sia comunque legittimo è l'aver espresso una propria intuizione nata da Pubertà. Il fatto è che quando ho rivisto il quadro, come dici anche tu, mi sono fatto delle domande, ma c'era qualcosa che non tornava. E' che la figura della preadolescente a me non ha mai dato una sensazione di serenità, di famigliarità, anzi mi trasmette tensione, ansia, quasi paura. Forse per la rigidità della postura, la tensione muscolare, gli occhi un poco sbarrati. Ma quello che per me è rivelatore è il gesto è per questo che ho scritto questo post. Benché io conosca a grandi linee la vita di Munch e non sia completamente disinformato, ho voluto focalizzarmi su un solo elemento, mi sembrava fosse l'unica cosa sensata che io avrei potuto dire. Il gesto di coprirsi guardando diritti dinnanzi a sé è il gesto adamitico (in questo caso Evitico, ma è lo stesso) per eccellenza, è l'aver intercettato il momento mitico della nascita del male. Il male o la malizia è concretizzata dalla reciprocità degli sguardi, è nello sguardo portatore dell'intenzionalità della coscienza (come a dire io sono il mio sguardo), il luogo dove nasce l'umanità come la conosciamo o come ci hanno trasmesso le antiche scritture, quindi è il momento in cui diventiamo mortali è da quel gesto in poi che si stacca da lei l'ombra presaga di morte, prima di quella consapevolezza maliziosa è come se lei fosse vissuta ancora nell'edenica infanzia immortale. Per questo dico lo sguardo dell'artista/spettatore diventa pietistico e angosciato; è lì che nasce il dualismo Eros-Thanatos. Questo era quello che ci avevo visto io al di là dei discorsi sul rapporto tra il quadro e la biografia dell'autore che mi sembrano certamente pertinenti ma forse ormai assodati. Forse non ho detto nulla di nuovo, ma non conta molto e non so quale fosse l'intenzione di Munch, ma io credo che ci sia anche quello che ho descritto, sperando di non sbagliarmi. Alla prossima.

LaRanaCattiva ha detto...

Muah … guarda, se devo essere proprio sincera non è che abbia passato metà della mia vita a studiare Munch , diciamo che non appartiene alla mia area di competenza specifica, comunque ho sempre sentito una particolare vicinanza a questo artista così travagliato, ossessionato, angosciato ed anche un po’ menagramo (sto scherzando). Non so precisamente dirti, dunque, quali e quante interpretazioni il gioioso stuolo di critici dell’arte sia riuscito a produrre in merito, anche se posso immaginarli … Quelle che ho esposto nel precedente commento è frutto del buonsenso e della ferma convinzione che noi siamo frutto delle nostre esperienze, il tutto unito ad un blando aiuto di wikipedia per verificare con il dato biografico la mia tesi, giusto per evitare di scrivere castronerie apocalittiche. Magari sbaglierò io con il mio approccio troppo psicanalitico all’arte, però credo che lo studio accademico e anche l’elezione amatoriale di una così alta espressione artistica dimentichino troppo spesso che tale manifestazione ci affascina in modo tanto sconvolgente solo per un motivo, ovvero perché è prodotta da un nostro simile … e se è prodotta da un individuo come noi, allora anche in noi possono covare le stesse potenzialità, pulsioni, luci ed ombre e bla, bla, bla…
Se ci lasciamo sopraffare dall’emotività, che nel caso di Munch è inconsapevolmente voluta e ricercata per trasmettere e gridare tutta l’alienazione del suo essere e della collettiva perdita di senso del nascente uomo novecentesco, rischiamo di compromettere la nostra analisi che ricerca, almeno nel mio caso, l’oggettività, fattore indispensabile per giungere alla Verità. Con questo non voglio dire che tu abbia sbagliato nulla nelle tue riflessioni sulla gestualità “evitica”, anzi ci sarebbe un lunghissimo capitolo da aprire sulla spiritualità di Munch (consiglio di vedere la serie delle Madonne)e su tutta la simbologia cristiana rintracciabile nella sua ricca produzione. Dico solo che a me interessa e colpisce qualcosa che va oltre una delle innumerevoli sovrastrutture umane, come la religione, a me interessa il nocciolo più umano e probabilmente istintivo ed in questo non c’è colpa, solo semplice elezione, ma questo non vuol dire che non veda quanto per questo artista abbia contato la formazione puritana che sicuramente lo segnò a fondo. Anche in quadri non espressamente religiosi, effettivamente si possono trovare numerosissimi riferimenti al tema della Passione, della Salvezza, dell’Espiazione . Anzi, se guardi la costruzione assiale di Pubertà è effettivamente una croce (letto e ragazza), però a me sembra un po’ forzato voler vedere sempre e comunque qualcosa, perché è troppo contingente al soggetto conoscente e forse dimentica l’oggetto e chi lo ha prodotto (sono contorta forse e probabilmente mi sbaglio ed Edvard volutamente ha pensato a tutto il recesso religioso ). E’ comunque nobilissimo il voler rintracciare ed esporre la propria visione; più semplicemente, è l’occhio di chi guarda che seleziona in base al suo background, ed è vero, se invece di essere nato in Italia tu, che ne so, fossi nato in Bangladesh o in Etiopia o in vattelappesca, avresti comunque visto la medesima croce, ma la sua interpretazione sarebbe stata assai diversa e tutto il ricordo e la memoria ad essa collegata avrebbe avuto altri significati religiosi e non (anche se a livello simbolico tutte le culture sono unite dalla medesima venerazione del reale e soprattutto degli elementi naturali, quali, ad esempio, il sole).

LaRanaCattiva ha detto...

In Pubertà dici bene che il gesto di ricoprire e proteggere le pudenda rimanda all’immaginario della perdita dell’innocenza originale. Anche qui, se ci pensi … E’ grazie alla tradizione cattolica, anzi all’istituzionalizzazione di quest’ultima che la donna inizia il suo cammino di infamia nella storia (lascio per un’altra volta i miei rigurgiti femministi), si ok, già Pandora non godeva di ottima stima in tempi ancor più antichi, però, credo che sia stata generata proprio lì la formalizzazione della misoginia. Tutto questo livore solo perché la Donna ha l’unica colpa e diciamolo, sfiga, di essere in grado di generare ( Sin dal muthos di Gea, le varie veneri , i miti legati alla ciclicità ecc, bla, bla, bla). Se poi davvero si vuole fare una analisi freudiana il rapporto con la madre/donna è fondamentale; il nostro primo abbandono è quello che ci strappa dall’utero materno (Paradiso terrestre) per essere trascinati in una valle di lacrime ( Cacciata terrestre … “Tu lavorerai con sudore e tu partorirai con DOLORE”… Scambio equissimo!), ergo sin da quando nasciamo siamo destinati ad amare ed odiare la nostra genitrice grazie alla quale proviamo per la prima volta il sentimento della solitudine, così come amiamo ed odiamo la Terra, così come amiamo ed odiamo la vita in generale … E vabbè … Sto decisamente deragliando verso altri discorsi, ma tanto è tutto collegato! Poi, aggiungo il “carico da novanta”, cioè, dico che la sfera sessuale di un individuo è quella che forma la personalità e non a caso Edvard intitola l’opera Pubertà, ovvero, il Passaggio per eccellenza comune a tutti. Sarò facilona, ma effettivamente il quadro non è altro che il ritratto di una giovinetta che vistasi denudata fa la cosa più naturale del mondo, ovvero si copre, perché troppo esposta. E’ l’ombra in effetti la chiave di tutto, perché usata sapientemente, per generare una sorta di cortocircuito percettivo.

LaRanaCattiva ha detto...

Munch, infatti riesce a trasmettere l’angosia con un semplice espediente tecnico nell’utilizzo del colore. Ribalta di continuo l’ordine cromatico costituito, lasciando chi guarda in preda a sconcerto. E’ da li che deriva quella sensazione che ti ha fatto dire : “C’è qualcosa che non torna nel quadro”, poi ti sei fatto sopraffare da quella emozione che ti ha indotto a recepire la ragazza come tenebrosa, piuttosto che serena. Prova ad isolare con una cornice la sola figura femminile, non lasciando spazio allo sfondo …. Fatto? (Aggiungi colla vinilica, scusa, citazione idiota!)Onestamente a me non da ansia vista così, però se si torna all’originale devo ammettere il contrario.
E’ proprio il contrasto, la contraddizione a generare ansia, come nella vita in generale!
Chiudo con un’invocazione alla sensibilità poetica:
“ La pittura è una poesia muta, e la poesia è una pittura cieca, e l'una e l'altra vanno imitando la natura quanto è possibile alle loro potenze, e per l'una e per l'altra si può dimostrare molti morali costumi, come fece Apelle con la sua Calunnia. Ma della pittura, perché serve all'occhio, senso piú nobile che l'orecchio, obietto della poesia, ne risulta una proporzione armonica; cioè, che siccome di molte e varie voci insieme aggiunte ad un medesimo tempo, ne risulta una proporzione armonica, la quale contenta tanto il senso dell'udito, che gli uditori restano con stupente ammirazione quasi semivivi. Ma molto piú faranno le proporzionali bellezze di un angelico viso posto in pittura, dalla quale proporzionalità ne risulta un armonico concento, il quale serve all'occhio nel medesimo tempo che si faccia dalla musica all'orecchio. E se tale armonia delle bellezze sarà mostrata all'amante di quella di che tali bellezze sono imitate, senza dubbio esso resterà con istupenda ammirazione e gaudio incomparabile e superiore a tutti gli altri sensi. Ma dalla poesia la quale si abbia a stendere alla figurazione d'una perfetta bellezza, con la figurazione particolare di ciascuna parte della quale si compone in pittura la predetta armonia, non ne risulta altra grazia che si facesse a far sentire nella musica ciascuna voce per sé sola in varî tempi, delle quali non si comporrebbe alcun concento, come se volessimo mostrare un volto a parte a parte, sempre ricoprendo quelle che prima mostrarono, delle quali dimostrazioni l'oblivione non lascia comporre alcuna proporzionalità di armonia, perché l'occhio non le abbraccia con la sua virtú visiva ad un medesimo tempo. Il simile accade nelle bellezze di qualunque cosa finta dal poeta, delle quali, per esser le sue parti dette separatamente in separati tempi, la memoria non riceve alcuna armonia.”

Artax ha detto...

Credo tu abbia frainteso le mie parole o forse non ho capito ciò che hai scritto, perché non capisco se stai criticando il mio approccio.
Dici di essere interessata al nocciolo più umano e forse anche istintivo, ma non capisco perché io lo sia meno...non credo che la drammaticità e l'angoscia non siano anche istintivi, né che non nascano da un "nocciolo" umano. Del resto mi è sembrato di usare il riferimento biblico solo per meglio spiegare questa drammaticità e non per evidenziare i temi religiosi nei quadri di Munch, altrimenti, come dici, avrei usato un suo dipinto di argomento religioso.
Forse il mio approccio è più universale e meno psicanalitico, bé allora diciamo che sono stato più Jungiano nel modo di affrontare Pubertà, così divento psicanalitico anch'io;).
Quello che dici sulla figura di lei, è verissimo ma io non lo nego, cioè non dico che non sia il complesso del dipinto a creare quella sensazione d'ansia, dico che la sua figura vive comunque una "tensione", questo non puoi negarlo e richiama forse un istinto nuovo per lei, quello di coprirsi, perché appare come un gesto naturale ma nuovo. Che poi possa assumere un senso allegorico è una conclusione successiva, che si può anche non fare. Questo è tutto ciò che mi trasmette, se poi io debba oscurarlo in nome di una visione oggettiva che non lo prenda in considerazione, allora preferisco rimanere con il mio giudizio parziale, magari condiviso solo da pochi o almeno si spera.

LaRanaCattiva ha detto...

Scrivo e rido, perché il linguaggio umano è veramente bizzarro! Ho provato piena di stupore a rileggere ciò che avevo scritto e mi pare tutto estremamente chiaro. Per una volta che non ho fatto la “rompicoglioni” (sdoganiamo anche questo termine, se c’è chi ha sdoganato “stronzo” per rendersi più simpatico, lo faccio anche io, ma si!) e non ho criticato niente, anzi, trovandomi d’accordo su molti punti non ho fatto altro che ribadirne l’esattezza, mi sento tacciare di incomprensione o incomprensibilità … Ma va bene, colpa mia e del ruolo che mi sono scelta, magari cambierò il mio nickname in LaRanaBuona, così, giusto per allontanare il pregiudizio e convincermi di essere un’etichetta! Comunque, visto che non è molto divertente fare della metacritica, ritorno al nostro paturnioso amico Edvard e giusto perché sono coerente, alla tua critica: Drammaticità ed angoscia non sono le cause prime sono SINTOMI di qualcosa di più profondo, soffermarsi a queste manifestazioni, è dunque, secondo me, un errore, perché esse non fanno altro che rispondere alla domanda che COSA trasmette il quadro? Ma non risponde al PERCHE’ lo ha voluto trasmettere. E’ tutta questione di punti di vista, di quali domande ci poniamo, di bisogni da soddisfare, di curiosità e di background culturale (tutti assolutamente legittimi e non autoescludenti ). Qui ora ci starebbe bene un discorsetto sul relativismo e sulla libertà di pensiero, ma lo risparmio, visto che sono universalmente relativa e schiava del libero pensiero! Il fatto è che trovare i “perché” costringe a prendere posizione e ad incappare nell’incomprensione, anzi peggio, a sentirsi tacciare di banalità se le proprie opinioni mostrano il limite “dell’umano troppo umano”,riescono cioè, a mettere in luce tutta la squallida e nauseante (ma poi rispetto a cosa, a quale ideale di perfezione????) semplicità dei meccanismi umani. Noi siamo animali spirituali con facoltà di raziocinio, ma prima di tutto animali che basano la loro cultura sull’iniziale apprendimento che avviene per emulazione, che media qualcosa di decisamente istintivo. E’ partendo da questa convinzione che ho fatto riferimento nel commento precedente al nocciolo più umano (avrei dovuto dire più animale) e alla religione, invece, come sovrastruttura, intesa come insieme codificato di comportamenti condizionati ed organizzati. Munch era umano, troppo umano non a caso finì tristemente i suoi giorni a lavorare a maglia in un ospedale psichiatrico. Evidentemente anche lui non si è posto il problema del PERCHE’ la sua arte trasmetteva sentimenti tanto forti … Come direbbero i ggggiovani d’oggi “C’è rimasto sotto!”. Rimase schiavo delle proprie passioni, dalle quali non riuscì a trovare via di scampo e per questo motivo personalmente lo amo e lo odio, perché lo comprendo, perché non aveva scelta, perché avrebbe potuto fare altrimenti, perché era uno degli ultimi, un disadattato, perché era il primo, un genio. Se solo si fosse capito, avrebbe potuto conservare lo stesso tipo di immaginario continuando a dipingere fino ai suoi 150 anni, regalandoci opere del genere. Inveisco a proposito anche contro Cennini, Caravaggio, Pontormo, Lautrec , Van Gogh, Pollock, James Dean, il Re Lucertola e molti altri, tutti benemeriti idioti geniali che non hanno prodotto opere identiche alle loro vite.

LaRanaCattiva ha detto...

Mi congedo dando la definizione di allegoria: “[al-le-go-rì-a] s.f. (pl. -rìe)1 RET Figura retorica consistente nella rappresentazione di un concetto o un fatto attraverso simboli e immagini che rimandano a una realtà diversa da quella espressa letteralmente
‖ Parlare, esprimersi per allegoria, attraverso simboli”. Ora, visto che il quadro è un mezzo attraverso il quale si ricerca una comunicazione tramite simboli ed immagini, secondo me è già di fatto una allegoria (attenzione che è sottile ed ironica la quaestio, non facciamo ‘a non capisse!), se pensi dappoi che il significato che ho dato io sia inutilmente allegorico, faresti bene a farti un esame di coscienza, perché chi lo sa se la amabile e losca pulzella di Munch, fosse una adolescente intimorita dalla presa d’atto di non essere più bambina, ma non ancora donna, o fosse la trasposizione di un desiderio represso che attirava il pittore o più semplicemente nella stanza non ci fosse una finestra aperta che ha generato tutta quella rigidità corporea. Molto probabilmente sono vere tutte e tre le cose, chi lo sa?
“ I'm the Lizard King, I can do Anything.” … Anche morire! Jim Morrison

Artax ha detto...

A questo punto devo chiedere venia, devo essere stato io a fraintendere il tono. Del resto anch'io non sono stato molto chiaro, infatti parlavo dell'allegoria che io ci avevo letto, non che trovassi la tua inutile...vabbé...comunque sono d'accordo con te sul fatto che sono le diverse domande che ci si fa e il proprio background ad entrare in gioco. Trovo anche che sia interessantissimo il tuo discorso sulle "intenzioni dell'artista", sull' "umano troppo umano" e su come spesso la critica costruisca castelli d'aria (riassumo per brevità, sperando di non fraintendere di nuovo e conoscendo i limiti che hanno le etichette). Ma non sono il mio interesse primario... alla fin fine si cercano risposte dove si può, dove si crede, dove si sente.