martedì 17 marzo 2009

Rubrica: Vanessa Beecroft


Installazione, opera del 2001, di Vanessa Beecroft, artista italiana.
Ho deciso di proporre quest'opera per vari motivi, il principale dei quali è legato al dibattito che si è aperto sul "ruolo" dell'arte contemporanea e in particolar modo di quella concettuale.
Questa non è esattamente un'opera da considerarsi concettuale, se non per alcune sue caratteristiche (forse quasi tutte relative ai volti delle modelle), ma è certamente subito evidente il suo impatto, come di una dichiarazione immediata, assolutamente Politico; primo dei motivi per cui l'ho inserita.
Secondo motivo è il suo imprimersi in una traccia di richiami alla "forma", non solo per la composizione, le modelle hanno posizioni e posture volute dall'artista, ma anche per l'evidente citazione di De Chirico, quindi di una precedente rielaborazione del classico.
Il terzo motivo è dato dalla leggibilità, l'opera può apparire criptica, molto più criptica dello zoccolo di Manzoni...ma prima di affermare se lo sia o no, bisogna chiedersi appunto se vi è un messaggio, per così dire "linguistico", altrimenti è inutile parlare di criptico...successivamente ci si chiede: cosa mi si sta dicendo? In questo caso come succede anche per un'opera mimetica, si osserva ciò che è riconoscibile (donne, maschere senza volto, nudità, numero di persone, ecc.) si prendono questi elementi e ci si chiede se hanno una relazione tra loro, come si fa osservando un qualsiasi quadro, come ad esempio la S.Cecilia di Raffaello.
Se poi mi si dice che gli elementi del quadro del cinquecento, sono meno criptici per gli spettatori del tempo, rispetto a quelli usati nell'opera della Beecroft, direi che c'è un errore di fondo, si confonde un messaggio con la riconoscibilità dei simboli che lo compongono; ma soprattutto si confonde la "dichiarazione" che un'opera compie con la sua spiegazione.
Infine non bisogna reprimere dinnanzi ad un'opera tutto il suo richiamo al nostro "corpo", come già è stato suggerito, il fatto che essa "vuole" interagire con noi, a livelli e in modi diversi a seconda dell'opera in questione... non bisogna per questo chiudersi cercando di fagocitare per ben digerire, ma lasciarsi ad ogni propria compromissione con l'opera stessa.

4 commenti:

segnosulmuro ha detto...

Se non sbaglio il quadro che si intravede in fondo alla sala è "L'impero delle luci" di Magritte,non so se sia casuale,ma non credo..infatti come tu dici prima della Beecroft anche Magritte fu affascinato da De Chirico a tal punto da iniziare a cambiare stile e diventare completamente surreale e ancora le teste delle modelle richiamano sia i volti di De Chirico ma anche "Les Amants" sempre di Magritte dove vediamo un uomo e una donna baciarsi attraverso dei teli che avvolgono le loro teste(a mio avviso decisamente più bello dell'opera della Beecroft)...mi verrebbe da pensiare che la Beecroft abbia attualizzato delle espressioni artistiche precedenti aggiungendo una nota politica e sociologica(tutti uguali,nudi,senza volto)anche se ancora non ho capito bene il rimando alle scarpe con il tacco se ha qualche significato recondito preciso..ad ogni modo ancora una volta non sono completamente convinto di quello che vedo,probabilmente sarebbe più di impatto un installazione del genere vista dal vivo e quindi così non riesco ad apprezzarla in toto..non me ne voglia Artax..

Artax ha detto...

@segnosulmuro: Figurati!!Come faccio a volertene, io adoro all'inverosimile Magritte, per certi versi lo amo molto più di Picasso e di Dalì, e ho ben in mente il quadro di cui parli. Infatti credo che hai notato una cosa in più, cioè che il fatto che ci sia Magritte alla parete, come anche altre opere meno riconoscibili, indica che quella sala è adibita al Surrealismo.
Questo ci dà certo un'altra indicazione, un suggerimento temporale con cui l'opera della Beecroft dialoga.
La mia interpretazione dell'opera (limitata dal mio dilettantismo), è appunto molto legata al surrealismo: la Beecroft pone le sue modelle nude, con quelle scarpe con i tacchi che credo siano oltre che elemento estetico (notare il fatto che la cromia generale tende al bianco, tranne per le suole vabbé!, un bianco omologante), siano appunto allusione, ma non simbolo, alla "moda" o generalizzando al mondo dell'esposizione di un oggetto in particolare: la donna. Ovviamente è una denuncia polemica, tanto più che i corpi in mostra richiamano il modello estetico attuale del corpo femminile, con quella floridezza che viene sciupata, inaridita e che lascia una sensazione di accanimento famelico. I volti per questo motivo vengono resi indifferenziati, neutrali, essendo la componente fisionomica più personalizzante, qui però inoltre si instaura il dialogo con De Chirico e Magritte: si può notare che alcune modelle assumono posture di abbandono, quasi di "sconforto", è tutta la drammaticità esistenzialista che proviene da quelle esperienze artistiche, le quali già avevano saputo scovarla nell'idealità classica, in un dialogo profondamente estetico ma anche quindi trasformatosi nella Beecroft in tremendamente politico: è come se lei dicesse "anche le donne sentono il nulla".
Ora, al di là della mia interpretazione, io sono fermamente convinto, che un messaggio "non-letterario" (che non usa parole) magari che non "parli" di tutti i risvolti, giunga allo spettatore, anche se egli si trovi per la prima volta di fronte a questa opera, senza conoscere assolutamente nulla di arte, perché queste opere "parlano" di ciò che viviamo continuamente.
Certamente poi, se egli rimanendo colpito, andasse alla ricerca di altre opere della Beecroft, scoprirebbe che lei è molto attenta al mondo femminile, ai suoi drammi, spesso le sue opere trattano di anoressia e bulimia, non solo per denuncia ma con un profondo discorso socio-politico, oltre che artistico (una società che ha voglia di ingozzarsi e rigurgitare; un'arte che ne segue l'esempio facendo del rigurgito opera, per riportare la società a guardarsi allo specchio, senza moralismi, arte=specchio del mondo...quindi attenti quando deridiamo la "merda d'artista", questi non sono degli sciocchi, a volte sono inconsapevoli, ma sono delle "porte").
E' certo difficile accostarsi a all'arte contemporanea, che è per ammissione "morte dell'arte (intesa esteticamente)", ma la cosa incredibile è che se si ha il coraggio di accostarvisi, si inizia ad imparare che ogni nostra sensazione e lettura rispetto ad essa, ha in qualche modo senso... è l'arte più universale, perché non ha un linguaggio codificato.

LaRanaCattiva ha detto...

Perfetto, vedo che in qualche modo si sta cercando di capire...Il mio problema sta ancora nel non reputare arte pura queste cose e non a caso uso il termine "cose". Già già, sono bravi tutti ad avere idee a fare collegamenti più o meno eruditi, ma la libertà che parte dalla creazione di un codice linguistico personale che generi modelli dove sta? Meno male che sapete ancora riconoscere chi come Magritte, De Chirico, Dalì, ecc. ecc. ha contribuito a creare dal nulla qualcosa di personalissimo e degno di elogio, fosse anche per la sola abilità tecnica.Io mi incattivisco con queste becere mistificazioni, perdonate il tono, ma credo non si possa definire arte questa,trovo che sia un semplicistico ripiego dettato da reale capacità...è arte? E perchè? Perchè c'è una idea, perchè c'è una riflessione su tematiche sociali, perchè c'è un'arguta messa in scena, un'organizzazione, perchè lo spettatore è coinvolto? si, ma come è coinvolto, con la volontà di imbarazzarlo, posso toccare le modelle, posso interagire con loro, posso godere in eterno della visione di quei corpi? Dove sta l'universalità...Nel messaggio? Neppure in quello, visto che è strettamente legato alla società in cui la stessa artista vive. Cosa fa ancora una volta? Sconcerta e basta (ora non prendetemi per bigotta perchè proprio non la sono!).Costruisce? Abbellisce? Lascia qualcosa di memorabile? NO!Ora il fatto è che capisco benissimo quanto può piacere l'impressione di far parte di un tutto, ma lo spettatore, davvero non ne è parte, l'opera riuscirebbe a sopravvivere tranquillamente senza,siatene certi...Secondo me la scelta della Beecroft non è azzeccata per definire l'interazione tra opera e spettatore. La apprezzo mille volte di più come fotografa, li posso giustificarla, li si che diventa arte, anche se...SECONDO ME...La fotografia avrà sempre una rilevanza minore rispetto a pittura e scultura. Detto questo Vanessa non è molto lontana da un Oliviero Toscani, infatti come lui, spesso e volentieri bazzica il mondo della moda...Ancora il consumismo, ancora il denaro, ancora lo sconcerto per far denaro, ancora un inserirsi nel sistema senza sovvertirlo...Cosa di cui l'arte è capace...

Artax ha detto...

@LaranaCattiva. Perdonami, ma è strano sentire proprio da te, che non ci sono opere contemporanee dove si costruisce. E' strano sentire che questa non è arte pura...ma va?!..Ma se si richiama alla morte dell'arte!!Ti credo che non è arte pura...allora si definisca cos'è l'arte...cos'è l'arte pura...e non mi si venga a dare la definizione greca di manualità, che è già contraddittoria per i greci stessi e lo ammettevano apertamente.
Io proprio non riesco a capire perché non voler dare spazio ad un fenomeno artistico, senza che esso pretenda di cancellare il passato.
Né capisco l'accanimento contro delle proposte.
Poi si parla di non bigottismo...e questo cos'è?Ma se si usano sempre le solite categorie per accusare l'arte contemporanea, la solita storia: "ma se non sanno neanche fare un disegnino!!!"...ci si rifletta, invece. Ci si ponga con umiltà e generosità.