venerdì 5 giugno 2009

Antichrist di Lars Von Trier







"Quando faccio un film il primo che voglio provocare è me stesso", questa è una delle risposte date da Lars von Trier all'insinuazione-critica piuttosto condivisa sul fatto che generalmente i suoi film sono provocatori, spesso specificando più incisivamente con un "sterili provocazioni". La risposta del regista appare quanto mai interessante, sopratutto se si pone l'attenzione sul suo carattere di testimonianza di poetica più che su quello di controbattuta in uno scambio di pseudo-opinioni. Provocare se stessi attraverso l'atto creativo e inoltre vedersi provocati dalla propria opera filmica compiuta. E' come se Von Trier ci stesse dicendo che il suo processo creativo, ma anche più semplicemente come direbbe lui il suo modo di lavorare, che è noto essere complesso e rigoroso ai limiti dell'ossessività, tenda alla costante ricerca di elementi di cui egli non ha possesso, o comunque piena coscienza, tanto da creare un distacco tra l'opera e l'autore. Si potrebbe affermare che è una caratteristica comune del fare artistico, ma qui si tratta di assumerlo come principio della propria poetica: è l'autore che teorizza una "maniera" di agire ad arte, poiesis, affinché il proprio prodotto si estranei a tal punto dall'autore da "provocarlo", ossia da porlo in uno stato di problematicità, dubbio, mutamento.
Nel caso di Antichrist, tale interpretazione è più direttamente evidente se si prendono in considerazione le successive dichiarazioni di Von Trier che spiegano come il girare questo film sia valso da terapia psicanalitica per il regista, che aveva passato gli ultimi anni in analisi per superare la depressione. Ma ci dà il via per una lettura particolare anche del film in sé.
Cominciamo da un interrogativo, cosa indica il titolo Antichrist? A stare a quanto dichiarato dal regista, in parte il titolo è stato un richiamo al noto testo di Nietzsche, che è propriamente un saggio di critica al cristianesimo, tesi principale del saggio è la contraddizione insita nella dottrina cristiana che si fonda su una filosofia della "colpa" e su una professione della "debolezza" opponendosi al principale istinto naturale umano dell'autoconservazione. Il film però non fa accenni al cristianesimo, se non molto indirettamente attraverso alcuni elementi della narrazione in cui si parla della persecuzione delle streghe nel sedicesimo secolo, né si può trovare un qualche parallelismo con alcuni temi dell'analisi nietzscheana se non per antitesi: in sostanza gli istinti naturali che caratterizzano l'uomo e gli animali non si fondano su un principio di autoconservazione per Von Trier, ma semmai su uno di sopraffazione, che nell'uomo si accosta ad un elemento coscienziale-razionale che porta anche, ma non solo, a stati di "senso della colpa", ossia ad un prodotto di quello che si può definire senso morale. Tuttavia alcuni elementi del film sono di chiaro carattere biblico: il rifugio nel bosco dove i due protagonisti vivranno per la maggior parte del film è in un luogo chiamato Eden; non vengono mai pronunciati i nomi dei due come a suggerire una universalizzazione di ognuno a simboleggiare il genere maschile e il femminile (Adamo ed Eva? forse solo per il richiamo al carattere-simbolo di progenitori); l'uso di una diffusa simbologia, oltre che i temi chiave della nascita e della morte.
In secondo luogo se si volesse accostare la descrizione di Anticrsito ad uno dei personaggi si verrebbe a caratterizzarli in modo eccessivo, sminuendo il ruolo degli altri. Appare più interessante porsi in una prospettiva per cui ognuno di essi concorre a sviluppare l'idea-figura dell’Anticristo, finanche il bambino "suicida" che è spinto appunto dalla sua innocenza verso la morte e che si contrappone ad un Cristo-bambino della nascita "eterna". L’approccio assistenziale, che il protagonista maschile (interpretato da Willem Dafoe) ha verso la moglie (Charlotte Gainsbourg), le sue convinzioni razionalistiche, essendo uno psicanalista, e alcuni dei commenti di lei, non fanno che evidenziare una visione logocentrica del mondo, tale per cui ogni allontanamento da una "normalità", sancita dalla società umana (occidentale) secondo un necessaria regolamentazione morale, è una "MALattia" (la radice "male", ha più valore in tale contesto). E mostra più in profondità la morbosità dell’approccio razionalistico, che coniuga tensione al dominio (Adorno) e rifiuto della creaturalità, della materia in quanto carne; tanto più che essendo uno psicanalista, non ha l’approccio puramente positivistico di rifiuto verso l’interiorità, ma vive “professionalmente” la consapevolezza della psiche umana. Caratteristiche che lo porteranno verso l’esperienza di una ineluttabile perdita di controllo (dominio), che avviene come fosse una trasformazione, un percorso rigenerativo fondato sul sentimento-tema della paura. Il suo percorso verso l’Anticristo è quello della perdita del Sé verso una animalità di eco mitica: il finale richiama per opposizione la salita al Golgota, ma anche il Tabor della trasfigurazione di Cristo; mentre per affinità, forse propriamente una citazione, il finale rappresenta il compimento del rito sabbatico che richiamandosi ai riti bacchici, dove il dio Dioniso (che per la filologia classica è ricordato anche nella forma di bambino, ed è accostato spesso alla figura del Cristo) compariva per essere attaccato dalle baccanti, mostra una schiera di donne, nel film anime, che rincorrono il dio, nel film l’uomo (ma anche forse il Satana dei riti sabbatici).
La componente mitica, ossia quella che non solo allegorizza gli elementi narrativi come la natura, ma che inoltre riconduce ad una visione di una realtà sconosciuta, non dominabile, che racchiude in sé dei parossismi di senso che restano non svelabili, permette un accostamento del film alle narrazioni epiche classiche o meglio a quelle speciali narrazioni epiche che sono i testi sacri.
Questa componente preponderante è una delle possibili interpretazioni del comportamento del soggetto-natura: gli animali oltre che compiere atti inusuali, ad un certo punto parlano, usando una linguaggio sentenzioso e sibillino, oracoli di un mondo ancora dominato dalle forze naturali, si dichiarano apertamente e attraverso questo punto di visto perdono la venatura grottesca che una scena come quella di una volpe automutilata che annuncia: “Il caos regna!” come una rivelazione minacciosa, poteva avere. Altra possibile interpretazione è quella che indica come allucinazioni di lui, l’unico a vedere gli animali comportarsi in questi strani modi, queste manifestazioni, ricalcando sull’aspetto psicologico, che però limiterebbe il film ad un horror-psicologico, togliendone il fascino allegorico e metafisico.
Di natura certamente psicologica, tant’è che i suoi comportamenti ricalcano gli stadi di passaggio da un disturbo dell’umore a un disturbo della personalità, sono i comportamenti della protagonista femminile. Così come posso assumere simbologia psicanalitica alcuni elementi: la casa come luogo dell’io, il bosco come brulicante Es, le azioni e le reazioni di allontanamento dal Es come Super-io. Riproponendo anche un parallelismo con l’epos classica e i suoi miti, si potrebbe azzardare la denominazione del suo percorso di svelamento del proprio inconscio, come un “nostos”, un viaggio di ritorno, nel quale da dover abbandonare è la zavorra di un passato di morte, la morte del figlio, che è anche un passato di colpa, il fatto di non essere stata talmente madre da salvarlo, rivelando così a se stessa la propria naturalità che appunto è di natura matrigna, come lo è la Natura che circonda i personaggi. Il male è fondativo della vita e la protagonista spinta a tornare a rivelarselo dal marito: ogni gioco psicanalitico la porta ad affrontare le sue paure e ad immedesimarsi con ciò che esse comportano: la violenza; la protagonista appunto finisce per maturare un disturbo, che è immedesimazione con il male, ma non nel senso in cui ella sceglie il male, ma nel senso in cui ella lo compie, questo è il suo aspetto da Anticristo, esattamente come a compierlo sono gli elementi della natura, in un ciclo costante di sopraffazione e rinascita. Tanto che sarà vittima proprio di tale ciclo, sarà il marito, dopo averla uccisa, a compiere lo stadio finale del nostos, un ritorno al luogo di un infanzia mitica, l’infanzia naturale del figlio che si sentiva attratto da quella Natura fascinosa e avvolgente. Tanto più che nella scena finale egli non ha affatto l'espressione di una colpevolezza, ma diversamente un'innocente ferinità, come quella degli occhi di un qualsiasi animale.
Il percorso e processo è compiuto e si può anche ritornare al collegamento iniziale con la poetica di Lars Von Trier: proprio come un “nostos”, il percorso dell’atto creativo di Von Trier è quello di un tentativo di recuperare attraverso l’opera artistica l’esperienza formativa che ha portato al suo compimento, non più attraverso il fare poietico dell’artista, ma attraverso l’assistere dinamico e rigenerativo alla propria opera.

P.S. E' un film su cui si avrebbe molto altro da dire. Passibile di molte interpretazioni, può aprire a vari temi e discussioni.
Voglio solo far notare in più che Lars Von Trier lo dedica ad uno dei registi più amati da lui e da noi del blog, Andrei Tarkovski, anche per questo è stata scelta quella foto per il post, dove si nota come Von Trier per vitalizzare la natura abbia scelto un'ambientazione che richiama molto quella di Lo Specchio, il film più intimo del grande cineasta russo che parla della propria infanzia, a cui come per un parallelismo extra-diegetico si ricollega la nostra interpretazione in chiave di un "ritorno al luogo di una infanzia mitica" di Antichrist.