domenica 14 dicembre 2008

Peccato & Pazzia

...E allora mi perdo, mi perdo in pensieri, parole, opere ed omissioni.
Il peccato di non aver ancora capito niente del mondo, di come gira, se è mai girato! In raltà credo che stia da sempre fermo. Siamo solo noi a vederlo in maniera diversa. Ogni volta è nuovo, puro, sporco, vile, così come siamo noi nuovi, puri, sporchi o vili.
Non c’è remissione, perchè le colpe non ci sono.
Non c’è peccato perchè la remissione non esiste.

...E allora mi perdo, mi perdo a pensare a quello che vorrei, che spesso è irrealizabile, che più è difficile da ottenere e più spero che invece possa trovare una via per realizzarsi, una via, che dipenda o no da me. Perchè sarebbe bello se tutto per una volta andasse senza fatica nel verso che vogliamo noi. L’irenismo è una utopia? Erasmo sulle sue navi aveva trovato una risposta, dicendo che semplicemente non ne esisteva alcuna perchè l’uomo di fatto continuerà sempre a cercare un Senso al di fuori di sè.
Stare bene è, allora, una utopia perchè non dipende mai da noi ? Il creare un mondo dove ognuno possa finalmente sentirsi appagato, soddisfatto, satollo della vita appena divorata è utopia?
Penso spesso alla follia, mi affascina...Se faccio ben attenzione ai libri che leggo con più gusto o ai film che mi inietto endovena, non posso fare a meno di ammettere che sono tutti un tassello di un grande puzzle. C’è la disperazione, l’emarginazione, le grida di aiuto degli invisibili, i sussurri di chi è stato definito pazzo. Se penso ai quadri che adoro, sono tutti brulicanti di una umanità malata: penso a Heronymus a Peter a Dalì alle cattedrali gotiche...Al disordine, alla meraviglia del Caos che mi sembra più vicina al mio Modo, a quella che sono. Io capisco ed adoro il butto. Ciò che ripugna, quello che gli altri scansano, ha molto da dire per me. Sento la forza straziante di chi stanco di darsi sempre risposte ha preferito ad un certo punto abbandonarsi al dubbio. Anche se il bisogno di certezze da sempre fa parte di me.

...E allora mi perdo, mi perdo in parole che non possono ferire, perchè per farlo avrebbero bisogno di cadere in un Non Vuoto, ma qui il vuoto c’è eccome, senza spinta nè comprensione ribatte l’eco. Tutto è così vuoto e allo stesso tempo pieno di interrogativi.
E’ così difficile rinunciare per una volta alla razionalità? E’ così tremendo lasciarsi andare alla speranza? In effetti pare si!
Un giorno incontrai un pazzo come tanti per strada che gridava al mondo la Speranza, diceva di credere negli uomini, nella loro fragile forza, nel coraggio di poter costruire un mondo nuovo.
Non aveva nome, o forse ne aveva troppi.
Cantava di donne e di uomini che aveva amato perchè non li aveva mai avuti o compresi, dell’odio che provava per chi invece lo aveva posseduto e nonostante tutto si ostinasse a pensare ed agire in modo tanto diverso dal suo.
Non era più lui. Non si riconosceva in quegli occhi, detestava chiunque lo facesse sentire come non sopportava di essere. Era lui, ma senza volontà. Viveva senza un senso la vita che gli altri decidevano. Non sapeva ancora chi o cosa scegliere di essere...Marionetta senza fili, la vita gli scorreva a fianco senza averlo mai come fulcro centrale.
Aveva fame ma non sapeva come cibarsi, aveva sete, ma pensava di poter vivere senza bere. Sapeva solo cantare, con parole affascinanti di persone affascinanti. La cosa più importante era non pensare mai realmente a sè. Sperava di costruirsi solo in relazione all’idea che gli altri avevano di lui. Tutto lo snaturava. Era ciò che era, senza sconti solo quanto perseguiva l’istinto, la parte che meno lo rendeva uomo. Era due, tre, mille persone: era chi aveva conosciuto, era chi doveva ancora conoscere, era lui ed era qualcun altro che detestava, quello che gli altri vedevano.
Quando, esausto da questo peregrinare, decideva di mettere in campo ai massimi livelli il suo sforzo intellettuale, l’orizzonte si perdeva, quella spinta al miglioramento, al perseguimento di un fantasma solo sperato lo faceva morire di continuo in un contrabbasso fatto di disillusione.
Non so dire alla fine che ne è stato di quel pazzo, posso solo immaginare che non si sia mai arreso, che abbia continuato a lottare con se stesso fino alla morte, recitando per tratti di vita ed essendo se stesso in altri.
Ancora un attore.
Se il mondo è tutta un gran messinscena, se siamo tanto bravi nella recita perchè nessuno è contento? Perchè la speranza fa tanto male? Pandora, lo sapeva che da quel vaso sarebbero usciti solo grandi dolori ed è stata capace di richiuderlo appena prima che anche la maledetta Speranza trovasse un varco. C’era anche questo anelito tra le pestilenze, tra i mali, tra le sciagure e le frustrazioni... ancora oggi riesce a seminare dubbi, incertezze, a convincere taluni che in fondo sognare fa bene e nobilita, perchè credere irrazionalmente, spasimare, bramare qualcosa può farci sentire ancora vivi. Solo il Dolore alle volte è capace di darci conferma della nostra stessa esistenza ... tensione romantica e titanica a quello che non c’è.
E’ questo, forse, essere pazzi, alienati, biologicamente tarati, è questo, forse, il non sapersi confrontare con la Realtà.

...E allora mi perdo, mi perdo in opere ed azioni sconnesse, così, tanto per non sentirmi ferma con l’acqua alla gola. Che brutta sensazione l’impotenza. Pare un vero delitto provare sempre e comunque a migliorarsi...Già! Perchè se poi ti rendi conto che non porterà mai a qualcosa di definitivo sei autorizzato a credere di poterti evitare tutta la fatica.

...E allora mi perdo, mi perdo in quello che reputo più grave di tutto, l’omissione. Non dico. Sembra che non serva a nulla dire, ripetere allo spasimo che qualcosa che non va c’è, che nonostante tu abbia ottenuto qualcosa non sia mai abbastanza.
Un giorno ometterò perchè non ci sarà più nessuno a cui interessi realmente che le cose cambino, io compresa! Sarà la disfatta, che tutti si sono sempre aspettati ma che per me era impensabile...
Per ora scelgo di credere, voglio sperare, voglio crogiolarmi nella mia di pazzia ... Quella che ai più mi fa riconoscere come una Ottusa Idealista senza sensi di colpa.

venerdì 12 dicembre 2008

Il divo ...e Todo modo



(brevi accenni su Todo Modo: film del 1977 di Elio Petri, narra le giornate di alcuni esponenti di spicco del potere politico economico e mediatico della società italiana di quegli anni, passate nella pratica degli esercizi spirituali gesuitici, chiusi in un edificio costruito su un sito di catacombe, mentre all'esterno in tutta Italia miete vittime una epidemia...)


Pare evidente dalle parole stesse di Sorrentino, la relazione che intercorre tra Todo modo di Elio Petri e Il divo. L'incredibile e irripetibile potenza iconica oltre che narrativa del film di Elio Petri, potrebbe essere pensata come una necessità propria del tema, come Paolo Sorrentino stesso ammette, poiché l'audacia mostrata e forse intrinseca nelle intenzioni dell'autore, nel procedere del suo narrare, è il bisogno di darsi e dare una risposta che si è celata, che è difficile da scovare, che è un percorso e non si arresta all'evidenza di una storia personale narrata, pur nei suoi più oscuri risvolti. La mia forse appare una provocazione, sto in pratica dicendo che raccontare alcuni episodi della storia di Andreotti non basta, ma è Sorrentino stesso a dirlo; egli, come io sto solo sottoscrivendo, si chiede se la sua domanda su Andreotti sia abbastanza, sia il pretesto per narrare ad arte (cioé fino all'indicibile che è proprio dell'arte) la realtà del potere e della politica dal suo concretizzarsi in un tempo e un luogo, come la DC del compromesso storico per Todo Modo o la corrente di Andreotti e la DC stessa degli anni che di poco precedono tangentopoli, al suo dissolversi nella apparente astrazione dei processi che legano ogni comportamento politico o le riflessioni sul potere nell'uomo. Con questo non voglio certo dire che una narrazione che si fermi ai fatti o che ne stabilisca delle relazioni libere, attraverso la disposizione e il montaggio, nel tentativo d narrare la storia di un uomo in un periodo, non possa condurre alla realizzazione di un opera d'arte, tanto più che Il Divo si connota attraverso una scelta di stile e di approccio originale, ma che il coraggio di cercare e di affrontare la propria materia nel modo più appropriato perché sia un capolavoro è "l'audacia" di cui parla Sorrentino rispetto a Petri.... "TODO MODO PAR ABUSCAR LA VOLONTA' DIVINA"...e non di lui stesso. Paragonare i due film è un azzardo a dir poco, come anche dire che IL DIVO è uno dei più grandi film della cinematografia italiana...quest'ultima certo è un'opinione personale. Ma avrei voluto vedere più "audacia", se la prima cosa che viene in mente quando vedi che hanno fatto un film su Andreotti è "dev'essere un film coraggioso"!!!...A mio avviso preoccupato dal pensiero di mostrare l'umanità di una figura così oscura Sorrentino ha dimenticato che essa era e rimane soprattutto una maschera, un personaggio, la pedina di un gioco più grande. Se si pensa all'Andreotti del film ci si risponde che egli è stato un uomo che ha sacrificato la sua umanità alle logiche di potere e alla stretta che il suo possesso aveva su di lui, ma perché è successo, l'analisi o solo il mostrare come agisce il potere negli uomini e che cos'è, questo per me è stato solo accennato, e credo sia questo il fulcro, non Andreotti in sé. Resta per questo un bel film "storico", ma non certo un capolavoro che trascende le circostanze.

lunedì 1 dicembre 2008

FACCIALIBRO




Noi tutti siamo testimoni, più o meno consapevolmente, dell'incredibile fenomeno di Facebook. Quanti di noi già esistono attraverso di esso e quanti ci affabulano con miriadi di motivazioni che proverebbero l'indispensabilità ontologica del social network più usato da un mese a questa parte, nelle divagazioni internautiche degli italiani. E io, forse come molti di voi, mi ritrovo a vedermi affrancato del bollino dell' a-sociale o a-facebooker, tra l'altro credo ne esista anche un gruppo all'interno del facebook stesso; mio malgrado, però!! Che benché riconosca le mie cattive propensioni che mi spingono a volte ai luoghi più intimi e meno affollati, non mi sento certo identificato dal modello dell'asociale o perlomeno non in tutte le mie manifestazioni. Son certo che anche per voi, che come me non ancora siete su Facebook, è lo stesso; inoltre alcuni di voi, come me ci staranno pensando, perché non farlo? perché non entrare a farne parte?
Di qui adduco, come si suole nel più ardito dei salotti eruditi, in cui si giocano le sorti del mondo, le mie più umili motivazioni verso il no, che mi sono sovvenute come d'incanto stamane appena sveglio (e poi dicono che la mattina non porta consiglio!!):

1) Temo, tra le altre cose, che ci sia il rischio che mi si scopra davvero per quello che sono; chi non ama la sua maschera sociale? chi vorrebbe che tutti sapessero dei suoi spostamenti? Certo non io e credo neanche voi!!Il mito della trasparenza è ciò che forse ci avvicinerebbe di più ad una società sana, ma è anche ciò che più ci allontana dalla nostra essenza di persone. La legge sulla privacy è un vezzo dello stato giuridico, infatti.

2)C'è un detto o forse un proverbio, che recita più o meno "Ognuno si giudica dagli amici che ha"; direi che come tutte le frasi popolari certo conserva un fondo di verità. Se questo resta come assunto ne consegue che l'indice più o meno alto di gradimento e fama che ognuno ha, a seconda di quanti amici possiede in facebook, snatura qualsiasi più o meno legittima capacità di produrre sani PREGIUDIZI sulle persone... un disastro di proporzioni colossali!

3)E ultima, ma non meno importante, tra le motivazioni, è quella che si basa su un principio che credo di aver letto una volta in Pirandello. Egli, se non erro, descrive la sensazione di disagio e di assoluta disapprovazione che afferra l'uomo che si ritrova di fronte alla scena di due suoi buoni amici, che non si conoscevano prima, parlare e che magari proprio lui ha fatto incontrare per la prima volta, quella volta. Erano amici frequentati in ambiti diversi e lui era lì immobile e li stava guardando terrorizzato conversare piacevolmente. Può apparire tale atteggiamento proprio di una persona estremamente egocentrica e gelosa. Ma non è questo a mio avviso, esso è il terrore di fronte all'annullamento della propria frammentazione, del dissolversi in una identità data dalle circostanze di due ambiti diversi che si uniscono. E' banale e improprio dire che ci sono degli aspetti positivi nel fare conoscere i propri amici tra loro, questo lo sa anche l'uomo in questione, ma non toglie il dramma del suo verificarsi. E cos'è facebook se non quest'incubo elevato a prassi?!!

Credo che se voi avete un po' di buon senso, sarete stati pienamente convinti dalle mie pur modeste tesi. Approvandole a pieno e agendo di conseguenza...ovvero come vi è d'uopo...incoerentemente, com'è giusto!... siete subito corsi a guardare se qualcuno vi abbia aggiunto tra i suoi amici! Lasciando queste vaghe parole alla loro bizzarria.
Ma se siete come me e quindi assolutamente colti da spirito di furente contraddizione, resterete fermi nel vostro proposito di non indulgere in queste nuove forme di rilassatezza conviviale.
Poiché chi è savio sa concedersi ai piaceri più vani e multiformi, al contrario chi è folle gode solo nell'ostinarsi nella propria fissazione e non cedere...
..hihiihihiihihihihihiihi!!!